Gualazzi: «Amo il jazz, specchio della società»
Il pianista si esibirà in giugno a Verona, sua città di adozione
C’è tutto nel suo ultimo album, musica urban, pop, elettronica, soul, vintage, africana, ci sono la chanson d’autore, marcette da teatro-canzone e spettacolari omaggi a Rossini, Demetrio Stratos, George Gershwin, Serge Gainsbourg e Mina. «Ho un piano» di Raphael Gualazzi, da tre anni residente a Verona, dà anche il nome al tour che partirà ad aprile, approdando al Teatro Romano di Verona il 21 giugno. Il concerto rientra nella rassegna Verona Jazz organizzata da International Music and Arts e inserita nel cartellone dell’Estate Teatrale Veronese, una manifestazione organizzata
e promossa dal Comune di Verona (biglietti da 28,75 euro sul sito internet ticketone.it).
Questo disco è diverso dai precedenti. Dipende dai produttori scelti?
«I cinque produttori con cui ho lavorato hanno un background diverso uno dall’altro e con ognuno di loro c’è stato un approccio differente. Coi Mamakass ho fatto delle vere e proprie jam session, da cui è nata l’ispirazione per il testo. Stabber ha saputo iconizzare il suono acustico del pianoforte rendendolo un Leitmotiv e ispirazione della decisa tessitura sonora che lo avvolge. Fausto Cogliati ha vestito il brano Nah nah con un sintetizzatore moog degli anni Settanta. Potrei raccontare altre cose di Dade e Federico Secondomè, così come dell’arrangiatore Stefano Nanni».
Immagino l’esplosione quando, finalmente, si passerà ai live... «Il mio lavoro è dedicato alla buona musica. Quando suono dal vivo ho due punti fermi: il primo è il rifiuto alle automazioni: non voglio utilizzare sequenze che obbligano a suonare con un clic in cuffia. Preferisco che la musica sia suonata davvero con una partecipazione totale del musicista. Il secondo riguarda i luoghi che devono poter rispettare questo aspetto».
Le piace l’idea di andare al Teatro Romano di Verona?
«Il Teatro Romano è il luogo dei desideri: è molto ambito per la tranquillità, l’atmosfera familiare e la sua bellezza. Io sono di Urbino, ma da tre anni vivo a Verona, che considero il giusto equilibrio tra verde e città». Come vive in questi giorni di stop?
«Sono al lavoro con gli arrangiamenti del live. Il repertorio che proporrò sarà un mix tra brani di questo album e alcuni successi del passato, poi ci saranno delle rivisitazioni di brani della tradizione afroamericana e degli omaggi alla musica italiana, anche strumentale. Quando io e la mia band ci riuniremo, prima delle prove e dell’allestimento,
riscriveremo la musica per alcuni di loro, restando fedeli ad arrangiamenti imprescindibili, altre volte distaccandocene, con digressioni e aperture, affinché il brano possa evolvere al meglio. Sto anche lavorando a un album acustico per l’estero».
È fuori dall’Italia che suona il genere musicale, il jazz, che la rappresenta di più?
«Non c’è una graduatoria: per me è importante esplorare i generi così come andare in profondità, alla matrice delle ispirazioni. Io credo ci siano due tipi di percorsi: uno orizzontale che riguarda le varie collaborazioni con generi diversi dal proprio, in un Paese che non presta attenzione mediatica al jazz; e poi ci sono luoghi dove la stessa cultura è molto sostenuta, come in Giappone, dove è possibile fare una ricerca più profonda. C’è una barzelletta che dice: la differenza tra un concerto pop e un concerto jazz è che al concerto jazz fai tremila accordi e ci sono due persone che lo guardano, al concerto pop fai due accordi e ci sono tremila persona che lo guardano. Voglio portare avanti sia il percorso che mi avvicina al grande pubblico italiano, ma allo stesso tempo voglio continuare a studiare jazz». Per lei cos’è il jazz?
«Per me suonare un concerto jazz è uno specchio della società: funziona se la comunità pensa prima a un’azione collettiva e poi a una valorizzazione individuale. Il grande insegnamento del jazz sta nel continuare ad ascoltarsi l’un l’altro».
Esperienze
Verona ha il giusto equilibrio tra verde e città. Il Teatro Romano è il luogo dei desideri