Contagi a quota cento, circa 500 in quarantena
Alle 18 scatta la chiusura per bar e ristoranti, ma c’è anche chi gioca d’anticipo. La Corporazione esercenti: «La metà dei negozi ha chiuso»
Superano quota cento i casi accertati di Covid 19 in provincia di Verona, 106, per la precisione con diciannove tamponi positivi accertati nelle ultime 24 ore. Una crescita che prosegue costante.
«Signori, si chiude». In Piazza Erbe alcuni locali si portano avanti: un quarto d’ora prima che scocchino le 18 il registratore di cassa già tace. Tre agenti della polizia locale vegliano sullo sgombero dei plateatici (i gestori possono rivolgersi a loro se qualche cliente non collabora al rispetto del coprifuoco), alcuni veronesi si fermano a guardare, un paio scattano una fotografia. Che l’immagine sia inedita, per molti e specie per i più giovani, non c’è nemmeno bisogno di rimarcarlo. Serrande abbassate e silenzio.
Con i bar e ristoranti abilitati da ieri ad aprire soltanto tra le 6 e le 18, il centro storico scopre il clima da coprifuoco. Già l’annusava da lunedì, cioè da quando 6 punti di ritrovo enogastronomico (Maffei, Amo Bistrot, Oblò, Saos, Osteria Alla Torre, Duchi Cafè di Corso Portoni Borsari) s’erano indirizzati sulla chiusura temporanea dopo le nuove misure governative circa riempimento e distanza di sicurezza. Quella strada l’avevano aperta gli albergatori, prime sentinelle del drammatico effetto coronavirus sul settore terziario, costretti allo standby dall’azzeramento degli arrivi per marzo e aprile, in pratica messi in ginocchio dalla chiusura del rubinetto che innaffia da anni l’economia del centro stesso, ossia il turismo. E la notizia, ieri, mentre il tardo pomeriggio vedeva i camerieri sbaraccare, era l’ingresso dei negozi in quella rumba di sospensioni temporanee. «Circa il 50 per cento degli esercizi del centro ha deciso di chiudere», avvisavano già in mattinata dalla Corporazione Esercenti del Centro Storico, oltre 500 negozi rappresentati. Magari non siamo ancora alla metà del paniere. Ma ci andiamo vicini. La stessa Corporazione, nella tarda serata di lunedì, aveva pubblicato un appello: «La situazione è ormai palese, ogni giorno è un bollettino di guerra, ognuno di noi pagherà un dazio abnorme a questa catastrofe. Ma tutto passa e domani saremo determinati a risollevarci. A oggi, come responsabilità civica, proponiamo entro venerdì la chiusura di tutte le attività che possono ritenersi un potenziale veicolo di propagazione del virus». Anche il presidente di Confcommercio, Paolo Arena, ieri mattina, si era fatto sentire così: «In queste condizioni, immersi in un’atmosfera di disorientamento e attorniati da piazze e vie deserte, vale la pena considerare se abbia ancora senso alzare la serranda». Ecco allora spuntare in diverse vetrine a luci spente tra Corso Portoni Borsari, via Cappello, Piazze Erbe e via Stella — ma non in via Mazzini, corridoio principale dello shopping — cartelli come «abbiamo deciso di fare la nostra parte per ridurre il rischio di contagio», «sospendiamo l’attività per salvaguardare la salute dei nostri clienti, collaboratori e famiglie», «a causa dell’emergenza sanitaria l’attività lavorativa viene sospesa a data da destinarsi», «allo scopo di contenere il diffondersi epidemico il negozio resterà chiuso fino al 3 aprile 2020». Chi tiene aperto, invece, chiede «più chiarezza sugli orari per noi negozianti perché c’è una sorta di deregulation, chi apre solo in certe fasce orarie, chi solo la domenica: il governo potrebbe decretare orari per tutti». Certo, non finisce lì. Perché i negozi, adesso, chiedono un aiuto. «Le istituzioni ora ci devono realmente sostenere», così Arena di Confcommercio: «Vanno attivate la sospensione di versamenti, adempimenti burocratici e pagamenti delle utenze, la moratoria di mutui bancari e contributi previdenziali e assistenziali per imprese, lavoratori autonomi e liberi professionisti, gli ammortizzatori sociali veloci e retroattivi». Richieste già espresse anche dalla Corporazione Esercenti e dai titolari stessi dei negozi,
La Corporazione
Ogni giorno è un bollettino di guerra, ognuno di noi pagherà un dazio abnorme
Confcommercio
Vanno sospesi versamenti, adempimenti burocratici e pagamenti delle utenze
che ieri invitavano ad aggiungerci, guardando alle banche, «l’apertura immediata a “prestiti di tamponamento” con cui far fronte ai prossimi 6 mesi di canoni di locazione qualora non si riesca a ottenerne il congelamento o la sospensione temporanea» e il «blocco immediato delle procedure di “rating”». E lo Stato? «È il nostro socio visto che ci prende il 65 per cento di quanto guadagniamo — dicevano ieri dai negozi del centro — e ci aspettiamo che faccia qualcosa per giustificare quella sua “quota”».