Tenta di investire la ex e la figlia
Le due stavano andando dai carabinieri a denunciarlo: «Ci maltratta da anni»
Stavano andando alla caserma di San Bonifacio per denunciarlo dopo la sua ennesima - a detta delle vittime - esplosione di violenza domestica. L’ex compagna e la minore dei loro tre figli erano dirette dai carabinieri per sporgere querela contro di lui che, pur di riuscire a impedirglielo, in preda a un raptus avrebbe cercato di investirle con la macchina. La Procura che ha aperto un’inchiesta per maltrattamenti coordinata dal pm Marco Zenatelli.
Stavano andando alla caserma di San Bonifacio per denunciarlo dopo la sua ennesima - a detta delle vittime - esplosione di violenza domestica. L’ex compagna e la minore dei loro tre figli erano dirette dai carabinieri per sporgere querela contro di lui che, pur di riuscire a impedirglielo, in preda a un raptus avrebbe cercato di investirle con la macchina. È quanto sostengono non solo le due familiari, che alla fine hanno comunque potuto presentare denuncia contro il presunto capofamiglia manesco, ma anche la Procura che ha aperto un’inchiesta per maltrattamenti coordinata dal pm Marco Zenatelli.
Ieri la vicenda è finita sul tavolo del gip Marzio Bruno Guidorizzi per l’interrogatorio: assistito dall’avvocato Simone Bergamini, il 44enne di origini pugliesi ha scelto però di avvalersi della facoltà di non rispondere dopo che, su richiesta del pm, gli è stata applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento alle parti offese e ai luoghi da loro frequentati, dell’allontanamento dalla casa familiare, del divieto di comunicare con le vittime. Una serie di prescrizioni, quelle che gli sono state imposte dal gip una decina di giorni fa, che l’indagato dovrà rispettare per evitare di incorrere in misure ancora più stringenti, carcere compreso. E questo perché, stando all’imputazione che gli viene contestata dal pm, dal 2015 ad oggi avrebbe sottoposto la convivente, 43 enne emiliana, anche in presenza della figlia minore e di un nipote minore convivente, a un regime di vita dolorosamente vessatorio, consistito - per l’accusa - in continui e reiterati maltrattamenti fisici e psicologici e in particolare mediante condotte reiterate di ingiuria, minaccia e lesioni personali. L’avrebbe percossa più volte (contestazione, questa, supportata da alcuni referti medici) e l’avrebbe controllata sistematicamente sia di persona che tramite il telefono, tempestandola di chiamate di controllo per motivi di gelosia. Fino ad arrivare, sempre in base alla tesi della Procura, al gesto estremo di tentare di investire con l’auto non solo la (ormai ex) compagna ma anche la loro figlia più piccola mentre si stavano recando dai carabinieri a denunciare le sue presunte vessazioni, ponendo sistematicamente in essere - ipotizza ancora l’accusa - ulteriori comportamenti di analogo tenore vessatorio ai danni della convivente. «Per molti anni», secondo la ricostruzione del pm, la donna avrebbe sopportato continui maltrattamenti caratterizzati anche da lesioni personali e da violenza del tutto gratuita anche alla presenza di minori. Per il gip, l’indagato avrebbe manifestato nel corso di questi anni «un patologico bisogno di controllo della vita della parte lesa, determinato da un sentimento di gelosia e di non accettazione della fine della relazione amorosa». Tanto è vero che, nella convinzione che lei avesse un altro partner, le avrebbe intimato di «non uscire di casa e di non connettersi ai social network», controllandole costantemente anche il telefono. Per ben 4 volte la vittima avrebbe invano cambiato numero di cellulare: d’ora in poi, però, non potrà più cercare di contattarla in alcun modo per ordine del giudice.