Cartelli, tricolori e disegni appesi ai negozi il Veneto chiude senza aspettare il decreto
L’arrivederci di esercenti, commercianti e albergatori. Da Pino all’Harry’s passando per le grandi catene e gli hotel di lusso: tutti a casa
«La moda non vive al di fuori dal tempo», avverte il cartello che annuncia la chiusura della boutique di Elena Mirò, a due passi dalla Basilica Palladiana. E il tempo in cui viviamo è quello della paura del contagio, di quella vocina nella testa che chiede chi sarà a trasmetterci il virus? La commessa che ci vuole consigliare l’abito giusto, l’oste che servirà da bere, il cliente in fila con noi alla cassa? Ansie da Covid-19.
Prima ancora dell’ordine di serrata generale impartito ieri sera dal governo, è il buonsenso ad aver svuotato i centri storici. E senza nessuno in giro, già ieri i negozi non avevano molta scelta. Si chiude. Nel triangolo dello shopping di Vicenza - che da corso Palladio si infila in piazza dei Signori e imbocca corso Fogazzaro - lo struscio sembra un ricordo lontano. Le porte dei negozi sono quasi tutte sbarrate. Chiuse le insegne storiche - come la fioreria Pasqualin o la boutique Pavin - chiuse le grandi catene, Falconeri, Original Marines, Calzedonia, Max&Co... C’è chi ha affisso i cartelli «Siamo in ferie», chi spiega di voler «contribuire allo sforzo collettivo per il contenimento del contagio» e chi ai clienti dedica perfino una poesia «per distruggere il malefico intruso e serenamente camminare mano nella mano». Prima di inserire l’allarme, nella boutique «Gemma» hanno vestito un manichino di verde, bianco e rosso. E il Tricolore campeggia pure sulla saracinesca della gioielleria Re Mida e, passeggiando ancora per corso Palladio, si incontra la ragazza della birreria spagnola mentre s’arrampicata su una scala per appendere all’insegna una grande bandiera italiana. L’ultimo appello all’unità, prima di chiudere. «Non è soltanto per la mancanza di clienti: credo sia giusto sacrificarci per qualche giorno», spiega.
Non tutti possono permetterselo. «Ho un calo degli affari del 70 per cento. Ma con due dipendenti da pagare e migliaia di euro d’affitto, dovrò restare aperto finché me lo permetteranno», spiega Stefano Giaretta, che vende pane e tranci di pizza a due passi da
Palazzo Chiericati. Nel vicino Caffè degli Artisti campeggia un manifesto della Confcommercio con su scritto «Vicenza non si ferma». Doveva servire da slogan per quei negozianti che tenevano duro, ma il virus è più forte di quel che credevano. Il barista, Marino Pilan, scuote la testa: «Ora lo levo, quel cartello. Non ha senso resistere, visto che in giro non c’è anima viva».
Questa era Vicenza ieri mattina, ma poteva essere qualunque altra città. Coin, il Gruppo veneto dell’abbigliamento, già prima dell’annuncio del premier Conte aveva deciso di chiudere tutti i negozi da oggi. A Venezia il coronavirus ha fermato Il Florian, il caffè più antico del mondo che si trova in piazza San Marco. Decisione presa «alla luce di un aggravamento delle già numerose incognite presenti in questa situazione difficile e di allarme». Lungo Calle Larga XXII Marzo - la strada del lusso - l’unica attività funzionante è la farmacia; chiusi tutti i negozi sul ponte di Rialto e ieri Arrigo Cipriani ha sbarrato l’ingresso al mitico Harry’s Bar: non capitava dalla seconda guerra mondiale, quando venne confiscato e trasformato in mensa per i marinai.A Verona si fermano i ristoranti stellati: da Casa Perbellini ai Dodici Apostoli, da Il Desco fino all’Osteria La Fontanina.
Partendo da un Calmaggiore spettrale, Treviso assiste alla serrata spontanea di tutte le vecchie osterie. Nomi che hanno segnato la storia del vino: La Gigia, Arman, Il Dump... E anche la catena trevigiana «Da Pino», che comprende una serie di pizzerie sparse per tutta la regione, ha deciso lo stop immediato.
Complice il divieto di spostarsi, gli albergatori hanno issato da giorni la bandiera bianca. A Cortina ieri risultava chiuso il 95 per cento degli hotel (compreso il De La Poste, meta irrinunciabile di Vip), ad Abano erano aperte solo tre strutture e sul Garda era impossibile trovare alberghi aperti. Fino al nuovo decreto del governo, si poteva ancora prenotare una camera nel leggendario Hotel Danieli, a due passi da piazza San Marco. Ma a resistere era una manciata di irriducibili. Un po’ di ottimismo,almeno, prova a infonderlo il presidente di Federalberghi, Marco Michielli: «Siamo ancora nella tempesta ma non ci piangiamo addosso: già guardiamo a quando tutto questo sarà passato».