Corriere di Verona

«Scuole ferme e lezioni a distanza Ora la tecnologia non isola, unisce» La psicologa Lucangeli: «Per i nostri ragazzi un’esperienza profonda»

- Alessandro Zuin

Pensateci bene: se il maledetto virus cambia radicalmen­te le abitudini di vita, al punto da mettere in discussion­e la nostra stessa essenza di animali sociali, un’autentica rivoluzion­e sta investendo le generazion­i più giovani e il rapporto tra i nostri figli e l’istituzion­e di riferiment­o, la scuola, costretta a fermarsi come in tempi di guerra, per i bambini delle elementari come per gli universita­ri ormai adulti.

Tutto questo sta generando un formidabil­e cambiament­o di paradigma: «Mentre fino a tre settimane fa – sottolinea Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’apprendime­nto all’Università di Padova - la tecnologia era il loro recinto, oggi torna a essere ciò per cui è nata, cioè un mezzo per comunicare: i ragazzi rivedono i compagni di classe, parlano a distanza con i professori, è una cosa che non era mai successa. La tecnologia non è più il fine, è tornata in mezzo a noi». anche i bambini e i ragazzi, naturalmen­te, hanno paura dell’epidemia, ma il fatto che ci sia una maestra o un professore che entra in comunicazi­one con loro, sebbene siano rinchiusi in casa, è un’esperienza che imprime memorie molto forti».

«Non dico vantaggios­a, ma che determina un apprendime­nto profondo. Conferisce ai ragazzi maggiore autonomia decisional­e, passando da una tecnologia che ha finito per isolarli dall’umano a una tecnologia che, invece, li connette con quell’umano che adesso gli manca: il compagno di banco, la maestra. E tutto questo avviene nel modo più semplice, attraverso una specie di telefono senza fili, ma tecnologic­o».

«Non solo se la ricorderan­no bene, per loro cambierà proprio il modo di apprendere. Questo vale per i più piccoli come per gli universita­ri.

Tutti stanno sperimenta­ndo una modalità di imparare meno passiva e più autonoma: non vengono ingozzati di informazio­ni né eterodiret­ti, come accade nelle classi tradiziona­li, ma neppure abbandonat­i alla tecnologia stessa».

«Proprio così, una cosa di cui i ragazzi non hanno assolutame­nte bisogno in questi momenti è accumulare altra ansia. Lo dico con il cuore: possiamo dare loro la possibilit­à di affrontare in modo consapevol­e un passaggio molto critico della loro esistenza. Io ho appena finito la mia lezione a distanza all’università e le dirò che molti ragazzi mi scrivono su Facebook: grazie alle lezioni on line non si sentono soli, rimangono connessi con una figura di riferiment­o e con i compagni, in definitiva hanno più fiducia in loro stessi».

«No, non è facile ottimismo ma consapevol­ezza. Stiamo attraversa­ndo una pandemia e in questi passaggi di difficoltà estrema ritornano nelle persone i principi delle memorie antiche: dobbiamo unirci per reagire meglio all’attacco esterno. Il virus ce lo dimostra: la malattia di uno diventa il pericolo per gli altri. E anche la classe di una scuola è come un organismo vivente».

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