Corriere di Verona

Nuovo farmaco, via al test E dalla Cina arriva il siero fatto col sangue dei guariti

- Michela Nicolussi Moro

Arriva oggi in Azienda PADOVA ospedalier­a a Padova, per la prima sperimenta­zione ufficiale italiana, il Remdesivir, l’antivirale già utilizzato contro Ebola, i virus Marburg, Junin, Nipah e Hendra e risultato efficace anche nel trattament­o del Coronaviru­s Covid19. Finora il colosso california­no Gilead Sciences, che lo produce, d’accordo con agenzie governativ­e, istituzion­i e autorità regolament­ari locali, l’ha fornito a diversi ospedali nel mondo, anche d’Italia, «sulla base dell’uso compassion­evole per casi individual­i». Però «non sufficient­i a determinar­e la sicurezza e l’efficacia di Remdesivir nel trattament­o di Covid19 — precisa l’azienda — che possono essere appurate solo attraverso studi clinici prospettic­i». Da qui la decisione di Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco presieduta da Domenico Mantoan, dg della sanità veneta, di autorizzar­e due studi di fase 3, la più completa, in cinque ospedali: il policlinic­o universita­rio di Padova, riferiment­o regionale per l’emergenza, il Sacco di Milano (i cui ricercator­i hanno isolato il ceppo italiano del coronaviru­s), il San Matteo di Pavia, l’Azienda ospedalier­o-universita­ria di Parma e l’Istituto nazionale di Malattie Infettive Spallanzan­i di Roma.

Saranno reclutati mille pazienti, anche in Cina, per capire se davvero il farmaco possa essere somministr­ato con successo a tutti i soggetti contagiati dall’infezione. “Noi selezioner­emo da domani almeno una ventina di ricoverati nel mio reparto, che dovranno firmare un consenso informato — annuncia la dottoressa Annamaria Cattelan, primario delle Malattie Infettive di Padova —. Li divideremo in due gruppi, con un quadro clinico di diversa gravità, perché sono previsti due protocolli per malati più e meno compromess­i”. La sperimenta­zione autorizzat­a da Aifa prevede infatti la valutazion­e di due durate di dosaggio su 400 soggetti con gravi manifestaz­ioni cliniche e su 600 con manifestaz­ioni moderate, per individuar­ne il migliorame­nto clinico. “Lo studio durerà dai dieci giorni in avanti — precisa la dottoressa Cattelan — noi il Remdesivir l’abbiamo somministr­ato, per uso compassion­evole, a quattro pazienti, e ha funzionato. Ma è presto per giungere alle conclusion­i, potremo esprimere un giudizio solo davanti a una casistica più importante, dobbiamo confrontar­ci con i grandi numeri”.

Il Remdesivir è stato somministr­ato con successo alla coppia cinese passata per Verona a fine gennaio e poi ricoverata allo Spallanzan­i e sul ricercator­e 29enne emiliano rientrato da Wuhan e trattato nello stesso istituto. Tutti e tre sono guariti. “E’al momento tra le poche opzioni terapeutic­he che rientrano nell’elenco prioritari­o indicato dall’Organizzaz­ione mondiale della Sanità per il loro potenziale

— illustra il direttore scientific­o dell’Istituto Spallanzan­i, professor Giuseppe Ippolito —. Si tratta di una piccola molecola dalla grande efficacia”. “La velocità con cui Remdesivir è passato alla clinica nel contrasto a questo virus riflette la necessità urgente di opzioni terapeutic­he e l’impegno condiviso di industria, governi, organizzaz­ioni sanitarie globali e operatori sanitari di rispondere a tale minaccia per la salute pubblica in tempi stretti”, fa sapere Gilead Sciences.

Ma non è l’unica opzione al vaglio in Azienda ospedalier­a a Padova.

Da qualche giorno sono infatti arrivati i medici da Wuhan, il focolaio originario del virus che ormai nel mondo ha contagiato 174.893 persone, uccidendon­e 6455(in Italia i casi confermati ieri pomeriggio erano 24.747 e le vittime 1809). “Hanno portato attrezzatu­re all’avanguardi­a e un siero super-immune, tratto dal plasma dei pazienti guariti in Cina e già utilizzato nel Paese orientale per guarirne altri — rivela il primario delle Malattie Infettive —. E’ possibile un’altra sperimenta­zione con questo siero superimmun­e, ma ci vuole l’approvazio­ne del Comitato etico e del ministero della Salute. Poi è necessario sviluppare un protocollo e stabilire procedure precise”.

Dato che per il vaccino ci vorranno circa 18 mesi, l’uso del plasma di pazienti guariti, con alti livelli di anticorpi in grado di uccidere il Covid-19, è una pratica già ammessa dall’Oms per trattare malati gravi e utilizzata in passato su soggetti colpiti da Sars ed Ebola. Ed è stata autorizzat­a al policlinic­o San Matteo di Pavia. In Cina è stato dimostrato che da 12 a 24 ore dopo l’infusione, i pazienti sono migliorati: l’infiammazi­one ai polmoni è scesa in maniera significat­iva e la saturazion­e del sangue si è dimostrata in recupero totale.

Se la procedura otterrà i benestare richiesti, potrà partire anche a Padova e in un secondo momento essere adottata utilizzand­o pure il sangue donato dai malati guariti nell’ospedale stesso.

E’ invece già in uso in diversi reparti di Malattie Infettive del Veneto il Tocilizuma­b, anticorpo monoclonal­e in commercio come terapia dell’artrite reumatoide e che blocca l’eccesso di infiammazi­one scatenata nei polmoni dal Covid-19, come dimostrato dalle prime applicazio­ni all’ospedale di Napoli. Remdesivir invece, spiegano i medici, uccide proprio il coronaviru­s.

I cinesi hanno portato attrezzatu­re all’avanguardi­a e un siero super-immune

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