L o chef Alajmo: «Sento la mancanza dei miei clienti»
Lo chef del tristellato Le Calandre: «Mi manca il contatto con il cliente»
«Dobbiamo resistere, ma dando un senso a questo momento. Quando ci riapproprieremo delle relazioni umane sarà come una conquista, non solo una consuetudine». Vive intensamente questo periodo Massimiliano Alajmo, chef incoronato con tre stelle Michelin per la cucina del Ristorante Le Calandre, a Rubano (a due passi da Padova), e titolare di altri undici locali che compongono la galassia Alajmo. Come cambierà la ristorazione?
«Per comprendere come sarà il mondo gastronomico al termine di quest’emergenza dobbiamo capire come saremo noi e in una parola posso affermare che saremo migliori. Avremo bisogno l’uno dell’altro come in una vera famiglia. Sarà necessario costruire filiere di rapporti di interscambio tra allevatori, pescatori, coltivatori, contadini, cuochi, per realizzare collaborazioni virtuose. Nel pane si legge già la storia dell’uomo». Nel pane?
«Analizzando la panificazione negli ultimi decenni, si legge l’evoluzione della società. Prima i pani erano grandi, perché lo erano le famiglie, pronte all’accoglienza. Man mano la forma è diventata sempre più piccola, indicando un nuovo stile di vita. Ed è un peccato che sia andata così, perché la lievitazione cambia in base al formato. Lo stesso accade nella fermentazione: il processo d’invecchiamento del vino cambia in base alla dimensione della bottiglia. In una magnum diventa quasi miracoloso. È ciò che dovremmo imparare da questo momento storico: per risolvere i nostri problemi dobbiamo imparare di nuovo a condividere. Per me cucinare significa conoscere il mondo: passando attraverso le reazioni che la materia scatena, si racconta la vita».
A proposito di pane, tantissime persone, da casa, si sono cimentate a farlo. «Non mi stupisce. L’idea di panificare è legata al fatto di essere italiani, alla tradizione del companatico e al principio della sazietà, ma c’è intriso un messaggio di crescita: è qualcosa che si tocca e si trasforma, generando un appagamento con cui ci si può nutrire e nutrire la propria famiglia. La gente si è riappropriata di una dimensione tattile uomo-materia, compensando la distanza che abbiamo dovuto porre gli uni con gli altri». Cosa Le manca della vita di prima?
«Stiamo cucinando mascherati, per il delivery e il take away: è un carnevale perenne. Mi manca il contatto coi ragazzi in cucina e l’abbraccio di gruppo prima del servizio. Adesso siamo pochissimi in cucina e ci divertiamo lo stesso, ma manca il gioco di squadra. Nel momento in cui potremo rivivere
queste relazioni, saranno cariche di valore, perché nutrite d’attesa. Per il momento, io mi sto abituando a cucinare con la mascherina, ma c’è un ritardo nella percezione olfattiva, cambia la postura e il punto di vista e c’è imbarazzo nella degustazione. Secondo me supereremo questa fase. E poi manca il contatto frontale coi clienti».
A chi è a casa, vuole suggerire una sua ricetta in cui cimentarsi?
«Ai lettori, propongo lo “sformatino di risotto al pesto con melanzane, mozzarella e basilico”. Per prima cosa, bisogna preparare un risotto al pesto molto asciutto, mantecando con olio extravergine d’oliva, pesto, parmigiano e un pochino di succo di limone. Appoggiare all’interno di bicchierini delle fette sottili di melanzana scottate in padella, creando un cestino. Cospargere l’interno con del parmigiano e una fettina di mozzarella. Riempirli con il risotto e ripiegare all’interno le fette di melanzane rimaste scoperte per sigillare il tortino. Passare al forno per 8 minuti a 160 gradi. Scottare in padella dei pomodori datterini con olio, sale, peperoncino e basilico, poi frullare e setacciare per ottenere una salsa cremosa. Disporre la salsa di pomodorini alla base del piatto, sformare sopra il tortino di risotto al pesto e servire».