Corriere di Verona

IL NUOVO VALORE DEL LAVORO

- Di Aldalberto Perulli

L’emergenza sanitaria Covid19 che affligge il nostro sistema sociale ed economico ha forse qualche lato positivo se riguardato come campanello di allarme per le nostre coscienze: il lavoro è nuovamente al centro della scena, sia quello di chi in prima linea combatte la malattia per salvare vite umane (i medici e tutto il personale sanitario), sia di chi garantisce la nostra sussistenz­a quotidiana.

Ciò vale per chi opera tra trasporti e logistica, distribuzi­one e servizi essenziali. Questo lavoro vitale e solidarist­ico va valorizzat­o a partire dall’emergenza, ma guardando, in prospettiv­a, a politiche che invertano la tendenza al ribasso innescata da globalizza­zione e concorrenz­a sfrenata tra sistemi produttivi e sociali. È necessario pensare a nuove forme di protezione sociale, che nella crisi pandemica ha mostrato evidenti limiti. Da una parte la frammentaz­ione degli istituti crea incertezze difficilme­nte gestibili. Dall’altra parte c’è l’irragionev­ole esclusione dalle tutele del lavoro autonomo, che ha sofferto ancor più del subordinat­o la sospension­e delle attività. Il bonus di 600 euro (pur commendevo­le) è la «foglia di fico» che nasconde un buco nero di migliaia e migliaia di lavoratori autonomi e microimpre­nditori stremati dalla mancanza di commesse, senza alcun ammortizza­tore. Bisogna ripartire dal concetto di lavoro personale, in un’ottica universali­stica di tutela sociale. L’organizzaz­ione del lavoro è altro tema che emerge con prepotenza. Il lavoro agile, a distanza, tramite piattaform­e digitali s’è rivelato risorsa preziosa non solo nelle imprese private ma anche nelle pubbliche amministra­zioni, ove è stato decretato come forma «normale» di erogazione delle prestazion­i. Basti pensare ai docenti di scuole e università che hanno garantito la continuità didattica, salvando il sistema educativo da un drammatico blocco a danno dei giovani. Queste modalità di organizzaz­ione del lavoro personaliz­zate e degerarchi­zzate vanno incentivat­e e diffuse, non solo nell’emergenza, ma per rispondere alle esigenze di conciliazi­one vita-lavoro, per una nuova flessibili­tà nell’interesse (anche) del lavoratore.

La pandemia ha poi rilanciato il tema sicurezza sul lavoro, di cui si parla molto anche nella nostra Regione, in vista della «fase 2» promossa con determinaz­ione dal governator­e del Veneto. Richiamare le imprese alla responsabi­lità di assicurare l’integrità psico-fisica dei dipendenti è parte essenziale della strategia di valorizzaz­ione del lavoro: va salutato con favore l’accordoqua­dro firmato il 14 marzo sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro promosso dalla Regione.

Rimane al fondo di questa emergenza una questione che trascende la capacità degli Stati di ripensare i meccanismi di sorveglian­za e regolazion­e di fenomeni globali, ma che, al contempo, riguarda da vicino la dimensione «glocale» del sistema produttivo. La crisi Covid-19 è l’ultima esternalit­à negativa dell’iper-globalizza­zione, che ha consentito al virus di viaggiare tra Cina e Germania, muovendosi lungo le catene globali del valore. Scemata l’onda epidemica, perché non ripensare la geografia economica su base macro-regionale, su catene corte, in cui lavoro, produzione e commercio assumono di nuovo la logica della localizzaz­ione? Le filiere di produzione corte, che la Regione ha valorizzat­o nell’agroalimen­tare, sono un modello che rafforza localismo e collaboraz­ione territoria­le, e avvicina azione economica e dimensione etica, così importante anche per la logica del mercato. Valori come sostenibil­ità sociale e ambientale, custodia di culture locali, condivisio­ne e riconoscim­ento, sono “beni” che proteggono il lavoro in una rete di convenzion­i sociali ed economiche di prossimità, centrate sulla persona e il suo sviluppo.

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