Figlio di 2 papà Il caso finisce alla Consulta
La Cassazione: i nati da madre surrogata non vanno discriminati
Con una decisione senza precedenti della Cassazione, arriva alla Corte Costituzionale il caso del bimbo di 5 anni nato oltreoceano con la maternità surrogata e che ora abita a Verona con i suoi due papà.
È nato quasi 5 anni fa oltreoceano con la maternità surrogata e ora abita a Verona con i suoi due papà. Palazzo Barbieri aveva detto «no» alla trascrizione all’anagrafe dell’atto di nascita da due padri del bimbo che ha cittadinanza canadese, ma con l’ordinanza emessa il 28 giugno 2018 i giudici di Venezia hanno imposto al Comune scaligero di riconoscerlo. A quella decisione della Corte d’appello lagunare, che aveva fatto insorgere anche il sindaco Federico Sboarina, si era poi opposto il Ministero dell’Interno che ha fatto ricorso alla Cassazione.
E ieri, dalla Suprema Corte, è giunta una decisione senza precedenti: secondo gli Ermellini, infatti, i bambini non possono essere «discriminati» in base alle «modalità di nascita», e al luogo dove sono nati con il ricorso a pratiche non consentite dall’ordinamento italiano. Per questa ragione, la Cassazione ha chiesto alla Consulta di accertare se la legge sulla fecondazione assistita non violi la Costituzione e le norme internazionali a tutela dei minori, compreso un recente parere reso dalla Corte di Strasburgo su richiesta della Francia, laddove nega il riconoscimento anagrafico ai bimbi delle coppie omosessuali nati da maternità surrogata, pratica esclusa in Italia e sanzionata penalmente. Arriva dunque alla Corte Costituzionale il caso dei due papà gay veronesi, assistiti nella loro battaglia dall’avvocato Alessandro Schuster che dice: «Sono in ballo le sorti non solo delle famiglie arcobaleno, ma di tutte quelle famiglie, soprattutto con genitori eterosessuali, che accolgono bambini nati da gestazione per altri». A riguardo, scrive la Prima sezione civile della Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 8.325 emessa 24 ore fa, non riconoscere i figli di due padri o di due madri, venuti al mondo da una donna «estranea» alla coppia con gestazione per conto altrui, è un «declassamento delle relazioni genitoriali». Nel giugno 2018, la Corte d’Appello di Venezia aveva «delibato» la sentenza di uno stato straniero (la British Columbia) di riconoscere come figlio della coppia gay veronese un bimbo nato in Canada da maternità surrogata, pratica consentita nel paese di Justin Trudeau dove i due «padri» si erano sposati. In precedenza, invece, Palazzo Barbieri aveva negato la trascrizione dell’atto che sanciva la doppia «paternità». Ad avviso della Suprema Corte, però, in base alle nostre leggi e alle tante Convenzioni che proteggono i diritti dei più piccoli, «non si può affermare che lo stato di filiazione sia esclusivamente legato al contributo biologico del genitore al concepimento e alla nascita del figlio». In proposito l’ordinanza appena depositata rileva che sia l’istituto dell’adozione sia la legittimità dell’accesso alle tecniche di procreazione eterologa «smentiscono tale assunto». «Per altro verso - prosegue la il provvedimento - la possibilità per la donna di partorire anonimamente e di non costituire il legame di filiazione, smentisce un nesso indissolubile tra genitorialità biologica e giuridica». E ora questo delicatissimo tema, che tocca nel vivo non solo la coppia omosex veronese ma la vita delle famiglie «arcobaleno», è nelle mani della Consulta.