«Mascherine, impossibile venderle a 50 centesimi»
L’importatore spiega i costi, dai rincari in Cina all’aereo
«Il rischio, serio, è che tra un po’ in Italia non si trovino più mascherine. E siccome tutta la “Fase 2”, dal rientro al lavoro all’allentamento dei limiti alla circolazione, si basa sull’uso massiccio di questi dispositivi di protezione, l’orizzonte mi preoccupa». Marco Fabbrini è l’amministratore delegato di Ita Agency di Treviso. La sua azienda si occupa di tutt’altro, distribuisce prodotti per le tabaccherie, ma grazie ai contatti sviluppati dal fratello Matteo in Cina all’inizio dell’emergenza è riuscito ad aprire un canale di approvvigionamento di mascherine dall’Estremo Oriente: «Un business assolutamente marginale rispetto al nostro fatturato - spiega - nato più che altro per aiutare la clientela in un momento di difficoltà e da lì allargatosi ad altre realtà del territorio in contatto con noi, da Benetton a De Longhi». Alcuni carichi sono stati venduti anche alla Protezione civile, nei giorni più difficili della lotta al virus, ma ora il sistema rischia di saltare - dappertutto, non soltanto a Treviso - perché col prezzo imposto dal governo i conti non tornano più.
Domenica sera il commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri ha infatti annunciato che le mascherine chirurgiche saranno vendute in futuro al prezzo calmierato di 0,50 euro ciascuna, e ha reso noto di aver stretto un accordo con cinque società che metteranno sul mercato 660 milioni di mascherine a 38 centesimi. Alle proteste dei farmacisti, che hanno acquistato il prodotto a prezzi maggiori, e delle aziende della moda, che hanno riconvertito le loro produzioni per far fronte all’emergenza e mantenere posti di lavoro e con il prezzo calmierato non riuscirebbero a coprire i costi, Arcuri ha risposto affilato: «Sono liberisti che emettono sentenze da un divano con un cocktail in mano». Ma per Fabbrini «qui non si tratta di lucrare sull’emergenza ma di sostenere i costi necessari all’importazione. Gli sciacalli ci sono, e vanno puniti, ma bisogna rendersi conto che al di sotto di un certo prezzo è proprio impossibile scendere». Per le stesse ragioni, ieri Crai ed è il primo gruppo della grande distribuzione a farlo ha annunciato la sospensione delle vendite.
Nell’attesa che il governo
elimini l’Iva, come annunciato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, qualche numero aiuta a capire. Un ordine medio si aggira attorno alle 500 mila mascherine: prima dell’emergenza il prezzo base era 3 cent a pezzo e l’import avveniva via nave, quindi con 5-6 cent la mascherina approdava in Italia; oggi il prezzo base è di almeno 30 cent, con pagamento in anticipo e zero trattative sul prezzo, e il trasporto, vista l’urgenza, va fatto via aereo, su linee sempre più affollate, così che i costi di una spedizione sono passati da 3-4 euro al kg a circa 15 euro al kg. Poi c’è il dazio di 3 cent, non ancora eliminato. «La catena prevede un importatore, un distributore e un rivenditore e tutti, nei limiti, devono avere la loro giusta retribuzione. Ciò significa che una mascherina non può essere venduta al pubblico a meno di 1 euro, è impossibile - conclude Fabbrini -. Per cui delle due, l’una: o lo Stato va a comprarsi le mascherine da solo in Cina, per poi rivenderlo al prezzo che ritiene più opportuno, oppure torna sui suoi passi e segue l’esempio della Spagna, che non a caso ha fissato il prezzo a 96 cent».