Le Regioni insistono «Elezioni a luglio»
Il governatore, lanciato dai sondaggi, vuole votare a luglio e nel partito è ressa per entrare nella sua lista M5S e Pd: «Ma così è la fine della democrazia»
L’ultima parola spetta al Parlamento: per questo i governatori in scadenza, tra cui Zaia, sospingono un emendamento che anticipi il voto a luglio.
Sembrava una partita chiusa, dopo che il governo aveva indicato nero su bianco la finestra elettorale da domenica 6 settembre a domenica 1 novembre, e invece i governatori in scadenza di mandato (evidentemente certi della riconferma) non mollano, sicuri come sono di riuscire a convincere il parlamento - cui spetta l’ultima parola - ad anticipare il voto delle Regionali a luglio. Luca Zaia, a rinnovo con i colleghi di Liguria, Campania, Toscana, Marche, Puglia e Valle D’Aosta, è tra coloro che più insistono e tutti insieme hanno dato mandato al presidente della Conferenza delle Regioni, l’emiliano Stefano Bonaccini, di preparare un emendamento da presentare alla Camera, dove la commissione Affari costituzionali sta discutendo il fatidico decreto.
Il motivo dell’anticipo, più volte ribadito dai governatori, è sanitario, perché si teme di dover affrontare in autunno una nuova ondata epidemica. Ma non è ovviamente l’unico. Ora nessuno, neppure nel centrosinistra, si azzarda a mettere in dubbio la conferma di Zaia e di certo vista dalla prospettiva di quest’ultimo non saranno un paio di mesi in più a cambiare la sentenza. E però è evidente che la fretta di portare i veneti alle urne in piena estate e ancora, almeno formalmente, in emergenza sanitaria (il decreto che l’ha istituita ne fissa la scadenza il 31 luglio), con più voglia di mare che di droplet in cabina elettorale, è dettata pure dall’urgenza di capitalizzare al massimo lo straordinario consenso maturato durante l’emergenza Covid, consenso che fa di Zaia secondo tutti i sondaggi il politico più apprezzato d’Italia, in qualche caso più del premier Conte. Uno stra-potere che troverà la sua massima espressione nella lista Zaia, destinata a schiacciare la lista della Lega e l’annunciata lista degli amministratori, quella che vorrebbero i sindaci e gli Zaia-boys fin qui esclusi da Politiche ed Europee. Non è un caso che tra i colonnelli ci sia la corsa ad entrare nella lista del presidente (dove troveranno posto tutti o quasi gli assessori) e anche per questo, si dice nel partito, Zaia spinge per votare presto: se la Lega continuasse infatti a calare com’è calata nelle ultime settimane, alla volta dell’autunno la questione dei rapporti di forza potrebbe farsi delicata, perché la distribuzione dei seggi a Palazzo Ferro Fini dipende dai voti presi dalle coalizioni, non dal consenso dei candidati presidente (una Lega debole indebolirebbe la maggioranza) e perché potrebbero accentuarsi le fibrillazioni già registrate dopo il sorpasso del campione veneto sul Capitano Salvini (che smentisce gelosie: «Se parlano bene di un leghista, io sono sempre contento»), alimentate da Roberto Maroni con modi e tempi che ricordano quelli della cacciata di Flavio Tosi.
E a proposito di Tosi: all’epoca il casus belli fu proprio la formazione delle liste. Come finirà stavolta? Salvini lascerà mano libera a Zaia, magari chiedendo in cambio d’essere lasciato tranquillo a Roma (mire che il governatore ha sempre smentito), oppure pretenderà di dire la sua, come si richiederebbe in un partito leninista e come invocano alcuni colonnelli timorosi d’essere invisi a Zaia? Il punto tiene gli aspiranti consiglieri col fiato sospeso, anche per ragioni economiche: il coronavirus ha bruscamente stoppato la campagna elettorale, che costa complessivamente un milione e, come noto, Zaia chiede sia pagata dai candidati: 25 mila euro a testa (10 subito e 15 alla rielezione per gli uscenti; 3 subito e 22 alla rielezione per le new entry), cui se ne aggiungono altri 40 mila a testa per la caccia alle preferenze. Non spiccioli.
A Roma M5S e buona parte del Pd, specie nel governo, sono contrari, reputando il voto a luglio «la morte della democrazia» visto che impone tempi strettissimi: Zaia dovrebbe indire i comizi due mesi prima (cioè la prossima settimana) e i partiti presentare le liste un mese prima del giorno fissato per il voto. In piena estate, senza possibilità di fare comizi ed eventi pubblici, come potrebbero i candidati presidente spiegare i loro programmi? E i consiglieri raccogliere le preferenze? In quest’ultimo caso si è perfino vagheggiata una norma che, vista l’emergenza e solo per questa volta, le eliminerebbe d’imperio per introdurre le liste bloccate. Soluzione che, oltre a moltiplicare le tensioni di cui sopra nei partiti, sarebbe incostituzionale, invadendo la legge elettorale regionale e dunque violando l’articolo 122 della Carta. Identico problema si riproporrebbe poi per la raccolta delle firme da parte dei partiti (come Rifondazione, che difatti protesta) che non vantano un «gancio» in consiglio per la presentazione della lista: come potrebbero raccogliere 12 mila firme di qui a metà luglio? E se a questo aggiungiamo che salterebbe l’election day con i Comuni e in ballo c’è Venezia...