Strage di studenti, 12 anni all’autista A4 e Anas: cinque rinvii a giudizio
Il pm: omicidio stradale plurimo. Il giudice: barriere inadeguate. Risarcimenti da 5 milioni
Dodici anni a Janos Varga, l’autista del bus ungherese che si schiantò, incendiandosi, il 20 gennaio 2017. Morirono in 17. A4 e Anas: 5 rinviati a giudizio.
«Non ero io a guidare il pullman» della morte. Così, fino all’ultimo, ha tentato di difendersi attraverso le arringhe dei suoi legali il conducente del bus Jànos Varga, lasciando intendere che al volante si trovasse al momento dello schianto il secondo autista, rimasto anch’egli ucciso nella strage della comitiva ungherese in A4.
Il giudice Luciano Gorra però non ha avuto dubbi e poco prima delle 13 di ieri ha condannato il 53enne Varga al massimo della pena prevista con il rito abbreviato: 12 anni di reclusione per omicidio stradale plurimo. Per lo stesso reato sono stati rinviati a giudizio, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Paolo Sachar, gli altri 5 imputati.
Si tratta di Alberto Brentegani (responsabile di quel tratto della autostrada A4 BresciaPadova), Luigi Da Rios, (capo dell’ufficio tecnico e progettista dei lavori di sistemazione dello spartitraffico centrale e delle barriere, risalenti al 1992), Michele De Giesi, Maria Pia Guli ed Enzo Samarelli. Questi ultimi tre facevano parte della commissione Anas che nel 1993 collaudò i lavori di fornitura e posa in opera delle barriere stradali. L’udienza per loro è stata fissata al 15 dicembre davanti al giudice Alessia Fabiani.
Da quell’inferno di fuoco e lamiere non si salvarono 17 dei 54 passeggeri del bus che si schiantò, incendiandosi, la sera del 20 gennaio 2017 contro un pilone del cavalcavia dell’autostrada A4 a Verona Est. Tra le vittime anche il secondo conducente, indicato da Varga (di cui ieri è stata disposta l’inibizione alla guida sul territorio nazionale) come colui che si trovava ai comandi del bus al momento dello schianto. Stavano tornando a Budapest dopo una settimana bianca in Francia: perlopiù studenti liceali, di cui undici minorenni tra i 14 e i 18 anni, e alcuni accompagnatori tra genitori e insegnanti. Diciassette croci a cui si è aggiunta, lo scorso ottobre, quella per il professore-eroe Gyorgy Vigh, che era a bordo del pullman e portò in salvo altri passeggeri, ma non riuscì a salvare i suoi due figli restando a sua volta gravemente ferito. Laura Vigh, vedova di Gyorgy e mamma dei loro due figli morti nella strage, è l’unica superstite di quella famiglia falcidiata dal disastro di tre anni e mezzo fa: il nome della signora figura nel lungo elenco di parti civili a cui ieri, con la sua sentenza, il giudice Gorra ha riconosciuto risarcimenti provvisionali complessivamente vicini ai 5 milioni di euro. «Ma ora chiederemo i danni anche in sede civile, le vite dei nostri cari non hanno prezzo e la nostra battaglia di verità e giustizia non finisce qui» hanno annunciato i parenti subito dopo il verdetto.
In loro rappresentanza, dall’Ungheria, sono giunti a Verona per ascoltare la sentenza Endre Szendrei, Laszlo Krizsani e Laszo Marton, che in quell’apocalisse hanno perso figli e nipoti: «Grazie alla giustizia italiana per non aver lasciato impunite le morti dei nostri angeli», non hanno potuto trattenere la commozione uscendo dall’aula della Corte d’assise. Indossavano t-shirt nere con impresso il volto e sulle spalle il nome dei «nostri angeli». Al loro fianco l’Associazione Vittime della strada con il presidente Alberto Pallotti e l’avvocato Davide Tirozzi, secondo cui «questa sentenza farà storia».Per la motivazione della condanna all’autista bisognerà attendere 30 giorni, mentre le ragioni dei cinque rinvii a giudizio sono state evidenziate già ieri dal gup, a cui avviso risulta «a vario titolo addebitabile agli odierni imputati l’inadeguatezza delle barriere stradali in relazione alla presenza del pilastro di sostegno del cavalcavia, elemento che, unitamente alla perdita di controllo del mezzo da parte del conducente, ha determinato l’impatto del bus contro il pilone di cemento armato e il conseguente evento mortale plurimo». Una serie di responsabilità che, stando al giudice Gorra, risultano «desumibili dalle indagini svolte dalla polizia stradale,dagli accertamenti tecnici effettuati e dalle sommarie informazioni rese dalle persone che si trovavano all’interno del bus ungherese», denotando «un quadro di apparente fondatezza dell’accusa».