COVID, IL FURTO DEL TEMPO
Èun vero e proprio «furto del tempo». L’immagine può apparire fantastica o letteraria, eppure nasconde un spiacevole realtà, conseguenza – tra le molte – della pandemia che abbiamo vissuto. Stiamo parlando della mortalità che ha prodotto – specie in alcune aree – e della conseguente riduzione delle aspettative di vita. Psicologicamente è una cosa difficile da accettare: tutti questi ultimi decenni hanno segnato continui e importanti progressi della longevità e la morte è stata progressivamente allontanata. Per merito degli stili di vita, della cultura della prevenzione, delle capacità mediche, abbiamo guadagnato anni: solo lo scorso anno la speranza di vita alla nascita è cresciuta di un mese e a superare gli 80 anni ci arrivano mediamente tutti. Con la prospettiva che i cent’anni di vita diventino sempre meno un fatto eccezionale ma si «democratizzino» sempre più.
Senonché è arrivato il grande imprevisto, una pandemia che ha ridimensionato tutto. Anzi, portando indietro le aspettative di vita, come in un crudele gioco dell’oca dove la longevità non solo non avanza più, ma deve tornare indietro di qualche casella.
Èil presidente dell’Istat – da buon demografo – ad aver calcolato che vi è stato un ridimensionamento, in termini di aspettativa di vita, significativamente più marcato nel nord Italia.
In particolare, nelle province maggiormente colpite dal coronavirus, soprattutto nel nord-ovest e lungo la dorsale appenninica, si passerebbe da una speranza di vita alla nascita di quasi 84 anni ad una di 82. Ovviamente l’arretramento si accentua considerando gli anziani, i più falcidiati dal virus: sottolinea l’Istat che al nord un individuo al sessantacinquesimo compleanno poteva aspettarsi di vivere, prima dell’infezione, per altri 21 anni (mediamente), mentre ora a causa della mortalità dovuta alla pandemia tale durata scenderebbe a circa 19 anni (a Bergamo addirittura il calo sarebbe di ben sei anni).
Ciò significa che per alcuni territori del Paese si torna indietro di circa vent’anni, come nel caso di Bergamo – dove la speranza di vita equivale a quella accertata nel lontano anno 2000 – o di Cremona (dove si torna al 2003), mentre in molte altre province, quasi tutte settentrionali, il ritorno al passato, se anche non arriva al ventennio, è comunque superiore a un decennio (come a Reggio Emilia, che torna alla longevità del 2009).
Insomma la longevità conosce una sorprendente battuta d’arresto ed anzi in molte province arretra, così come viene ridimensionata la componente anziana della popolazione, dato che la pandemia ha drammaticamente tirato il freno a mano dell’invecchiamento.
È da sperare che la longevità riprenda presto la sua corsa rassicurante; ma per ora dobbiamo constatare che la morte si è «riavvicinata», riconquistando qualche posizione che aveva perduto.