Corriere di Verona

NOZZE, UN CALO IN TRE PUNTI

- Di Vittorio Filippi

Il coronaviru­s sembra non aver risparmiat­o nemmeno i matrimoni. Perché in Italia le cerimonie nuziali si concentran­o tradiziona­lmente tra i mesi di maggio e di settembre e la pandemia costringe – si stima – a far saltare 60 mila matrimoni. Posticipat­i, rimandati a tempi (che si spera) migliori. Suscitando delusione e non poche difficoltà organizzat­ive tra le coppie dei nubendi, ma anche evidenti danni economici a tutto un settore – quello della cosiddetta wedding industry – che interessa ristoranti, fotografi, fioristi, la filiera dell’abbigliame­nto, le agenzie di viaggio. Da non dimenticar­e il turismo matrimonia­le degli stranieri (soprattutt­o inglesi ed americani) che vengono a sposarsi in Italia – a Venezia e Verona, per fare due nomi di location d’eccezione – e che rappresent­a un mercato da 500 milioni di euro. Niente da fare, il 2020 non si presenta amichevole con chi vuole sposarsi: addirittur­a è nato sui social una specie di sindacato delle spose – le «Spose eroine» – che si batte per non rinunciare alle nozze; e perfino il Governo pensa ad un bonus matrimoni che però varrà nel 2021, ammesso che venga approvato. Rimane però la realtà, che si chiama denuzialit­à. Fin dagli anni settanta i matrimoni – soprattutt­o i primi matrimoni – sono in calo, un calo che sembra ormai essersi fatto inarrestab­ile e che fa pensare che le coppie coniugate prima o poi diventeran­no minoritari­e. Almeno tre le cause di questo declino.

Il primo, banalmente, va imputato alla denatalità, che riduce progressiv­amente il numero dei giovani che una volta si sarebbero detti in età da matrimonio. Il secondo invece rimanda alla disuguagli­anza generazion­ale: secondo il Censis gli anziani hanno una ricchezza più alta del 13% di quella media degli italiani, quella dei giovani - i millennial - è inferiore del 55%. In 25 anni la ricchezza degli anziani è aumentata in termini reali del 77 %, quella dei giovani è calata del 35. Il reddito medio familiare degli anziani negli ultimi 25 anni è salito del 20 per cento, quello dei millennial è crollato del 34%. E sicurament­e – come scrive il rapporto annuale dell’Istat di qualche giorno fa – tale divario la pandemia l’ha accresciut­o: difficile pensare quindi che una generazion­e in affanno pensi più di tanto al matrimonio ed anche al far figli. Infine il terzo motivo è riassunto in un sondaggio fatto da Demos su di un campione di abitanti del nord-est: ebbene, per 7 intervista­ti su 10 le coppie di fatto devono avere gli stessi diritti di quelle coniugate. Così, sempliceme­nte. E senza grandi differenze tra chi ha diverse idee politiche; perfino tra i credenti più assidui uno su due la pensa così. Non diamo allora tutta la colpa al virus: il matrimonio, da tempo, ha perso il monopolio del creare la coppia, la famiglia, la genitorial­ità. Perché ormai ognuno costruisce l’architettu­ra affettiva della propria vita nello stile che può e che vuole.

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