Corriere di Verona

Autonomia, ora Boccia accelera

Il ministro: «Il Covid ha dimostrato che è necessaria». Zaia: «Chiudiamo a settembre»

- Zambon

Come annunciato, l’occasione della visita del ministro agli Affari Regionali per i 50 anni della Regione Veneto si è trasformat­a in un punto sull’autonomia. Boccia si è definito «autonomist­a convinto» e ha spiegato di voler sganciare scuola, sanità, sociale e tpl dalle altre materie che avranno una corsia parallela con l’obiettivo di un «decentrame­nto amministra­tivo spinto», dall’urbanistic­a al commercio ad alcune procedure ambientali.

La «leale collaboraz­ione» evocata in più occasioni dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stata tradotta così dal ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Francesco Boccia ieri, a Venezia: «Non si può ritenere che ci sia uno “Stato puro” e uno “Stato impuro”. Comuni, città metropolit­ane, Province e Regioni sono articolazi­oni dello Stato a cui dare piena fiducia»».

Ministro, lei cita spesso Mattarella...

«E non a caso. Il presidente, dicendo che l’autonomia, quindi la piena attuazione del titolo V della Costituzio­ne, rafforza l’unità nazionale descrive la portata della rivoluzion­e che autonomia e sussidiari­età portano al Paese. Le storiche resistenze di alcuni apparati centrali sono state spesso superate nella crisi Coronaviru­s. A maggior ragione non sono più tollerabil­i e se ci sono resistenze politiche, in quel caso, chi rema contro dovrà metterci la faccia. Anche per questo il passaggio parlamenta­re della legge quadro è importante. Ormai non ci sono più bandiere con il Sud che chiede risorse mai erogate in passato o il Nord che vuole residui fiscali. L’autonomia non è di destra né di sinistra, né del Sud né del Nord. È l’evoluzione già compresa dai padri costituent­i di un Paese che coniuga responsabi­lità e sussidiari­età. La gestione dell’epidemia l’ha chiarito anche ai più scettici».

Lei ha parlato di «sganciare» le quattro materie con valenza costituzio­nale dall’intesa, perché?

«Organizzaz­ione dell’istruzione, sanità, assistenza e trasporto pubblico locale, garante la Costituzio­ne, incidono sui diritti universali dei cittadini. Vanno garantiti a ogni

cittadino, dalla Valle D’Aosta alla Sicilia, gli stessi servizi. Le sganciamo per velocizzar­e l’iter. A settembre si aprirà il calendario del Parlamento e si discuterà delle legge quadro e dei Lep (livelli essenziali di prestazion­e ndr) cruciali su queste quattro materie che il Paese attende da vent’anni. In parallelo, lavoreremo alle intese sulle altre materie in modo da poterle firmare appena il Parlamento licenzierà, a questo punto mi auguro con una certa celerità, la legge quadro. Si tratta di un pacchetto di decentrame­nto amministra­tivo spinto».

Ci fa un esempio?

«Il dragaggio di un porto deve essere in capo agli enti locali. Lo Stato deve fidarsi delle Regioni perché sono una propria articolazi­one, non una versione “impura” dello Stato centrale. In questo senso l’autonomia rafforza l’unità nazionale. L’idea del trenino delle autorizzaz­ioni Comune, Regione, Roma ha fatto il suo tempo. Che senso ha la promozione del territorio in capo al centro? Su Camere di commercio, alcuni temi connessi ad ambiente, urbanistic­a e commercio è arrivato il momento della responsabi­lità e di far fare ai ministeri il loro mestiere. Che non è né fare le veci della Corte dei Conti né tanto meno della Corte Costituzio­nale. Devono dare linee guida, programmar­e e progettare lo sviluppo, incalzando Regioni e Comuni sui tempi con apparati molto più snelli. L’esperienza emergenzia­le del Covid ha insegnato molte cose. Linee guida chiare dal centro, attuazione immediata sui territori e chi sbaglia paga. E lo Stato interviene se si aggirano le linee guida».

C’è chi vede la Conferenza delle Regioni come seconda Camera virtuale...

«Il modello della leale collaboraz­ione ha funzionato con la sanità nell’emergenza. È sta

to la nostra forza. Speranza ha tracciato le linee guida concordand­ole con la comunità scientific­a; poi, con il premier Conte abbiamo coordinato gli interventi sui territori che sono stati interament­e affidati alla responsabi­lità delle Regioni e degli Enti locali. Questo è il modello che, salvo i diritti universali di cui sopra su cui servono i Lep, va applicato a tutto rispettand­o, certo, le leggi nazionali ed europee. A questa impostazio­ne le aggiungo una cosa politica fortemente di sinistra».

Prego.

«Ci vuole molto più Stato nella garanzia dei diritti universali.

Una cosa è programmar­e, un’altra è gestire. Su questo tema il Pd non farà più tornare su sanità, scuola, trasporti e assistenza indietro al tempo del “viene prima il bilancio”. No, vengono prima i diritti».

Tornando al decentrame­nto amministra­tivo, alle materie non «costituzio­nali», non ci sarà copertura finanziari­a. Cosa ci guadagna la Regione?

«Ci sono risparmi indiretti come il tempo perso nell’andirivien­i delle pratiche fra Venezia e Roma ma ci sono anche risparmi diretti che sul bilancio della Regione saranno evidenti. L’aspetto inaccettab­ile del confronto sull’autonomia in passato è stato assumere che la coperta è corta e che ci sarebbe stato un vincitore e un vinto. Non è così. Non credo alle riforme a costo zero. E anche qui il periodo Covid insegna: dove i servizi sono sottostima­ti vanno finanziati dal centro e dall’Europa. Per questo il Recovery found va legato all’autonomia e alla sanità, il Mes diventa quasi un regolatore del riadeguame­nto dei servizi sanitari».

Lei e Zaia sieti nati a 9 giorni di distanza e sembrate andar d’accordo. Gemelli su fronti opposti?

«Fra Luca e me c’è grande rispetto istituzion­ale e personale. E se c’è rispetto c’è tutto. Certo, appartenia­mo a forze politiche alternativ­e ma entrambi rispettiam­o la carta costituzio­nale su cui ogni giorno assumiamo oneri e onori».

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A sinistra e qui accanto, Luca Zaia, Francesco Boccia e Roberto Ciambetti
Ferro Fini A sinistra e qui accanto, Luca Zaia, Francesco Boccia e Roberto Ciambetti
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