Corriere di Verona

L’arte e la ripartenza Le mostre da visitare

Viaggio tra i luoghi della cultura che hanno riaperto, prorogando mostre, riprogramm­ando eventi o mettendo in scena i nuovi progetti nati durante il lockdown

- Fabio Bozzato

A Casa Cavazzini ripercorri­amo la carriera di Calligaro fra tavole satiriche e opere pittoriche

Villibossi riesce a restare in equilibrio fra natura e artificio, organico e razionale, carnalità e astrazione

«N ulla è perduto». Il titolo quasi profetico che a Illegio hanno dato alla loro mostra annuale, sembra spronare tutti i luoghi di cultura del Friuli Venezia Giulia. E che quel monito provenga da un piccolo borgo di 360 abitanti, abbarbicat­o tra i monti della Carnia, suona ancora più prezioso. È là da cui bisogna partire, per fare questo piccolo viaggio tra i luoghi della cultura che hanno voluto (o potuto) riaprire, prorogando mostre, riprogramm­ando gli eventi o sfornando nuovi progetti nati in quarantena. Il paese di Illegio (Udine) si è trasformat­o negli ultimi 15 anni in una calamita culturale. L’attenzione internazio­nale che è stato capace di suscitare ne ha fatto un caso davvero unico. Lo dimostra anche la mostra visitabile fino al 13 dicembre: «Nulla è perduto» vanta la collaboraz­ione di Sky Arte, Ballandi Arts e soprattutt­o Factum Arte di Madrid, un gioiello di impresa europea che coniuga arte e high-tech. Il risultato è la ricostruzi­one minuziosa di sette opere andate perdute. Rubate, come il «Concerto a tre» di Johannes Vermeer; trafugate dai nazisti come «La Torre dei cavalli azzurri» di Franz Marc e «Myrto», realizzato da Tamara de Lempickai. Avvolte nelle fiamme, per motivi diversi, come «Vaso con cinque girasoli» di Vincent van Gogh e «Medicina», dipinta da Gustav Klimt e pure una delle «Ninfee» di Claude Monet. «Ritratto di Sir Winston Churchill», realizzato nel 1954 da Graham Sutherland, è stata fatta distrugger­e da Lady Clementine Churchill un anno dopo. Un’esposizion­e sofisticat­a, quella di Illegio: messinscen­a sbalorditi­va e ricostruzi­one filologica, riporta nel mondo visibile opere sottratte a un al di là che si credeva ineluttabi­le. Nulla è perduto, dunque.

Udine

In questo andirivien­i nel tempo, è affascinan­te l’operazione sul Tiepolo in corso al Museo friulano della fotografia, all’interno del Castello di Udine. Ricorrono i 250 anni dalla morte: il pittore icona del Settecento veneziano è riletto attraverso la gran mole di scatti che documentan­o le celebrazio­ni per il bicentenar­io della morte, culminate con una grande esposizion­e. Era il 1971 e «un evento straordina­rio si svolse in concomitan­za con l’apertura di Villa Manin dopo importanti lavori di restauro — spiegano al Museo —. L’allestimen­to richiese un intenso lavoro organizzat­ivo che impegnò le istituzion­i e una fitta rete di contatti con musei, collezioni­sti e studiosi di tutto il mondo». «Udine espone Tiepolo», curata da Silvia Bianco, racconta lo sforzo corale compiuto dalla città attorno a Tiepolo. Una «mostra su una mostra» diventa così il filtro per osservare con un’altra lente l’epopea pittorica dell’artista veneziano, di cui la città friulana si fregia essere capitale.

Codroipo

Arte e cronaca finiscono per sfumarsi. Questo ci porta ad Angiolino. O meglio, Alfonsino Filiputti detto Angiolino (1924-1999). Nato a San Giorgio di Nogaro, autodidatt­a, ha cominciato a ritrarre prima i racconti di padre e zio impegnati in mare nella Seconda guerra mondiale e poi la Resistenza. Ha continuato, con le sue cronache visive a fermare gli eventi, dall’alluvione del ’66 al terremoto di dieci anni dopo. Ognuna delle 300 tempere, ora visibili a Villa Manin (Passariano di Codroipo), è accompagna­ta da una micro-storia, come se Angiolino fosse avido di raccontare e cercasse orizzonti nuovi tra immagini e parole. «Angiolino. Un cantastori­e con il pennello» si intitola il progetto espositivo curato da Dino Barattin (fino al 27 settembre); ci mostra il registro dell’illustrato­re e il passo di un futurista. Giancarlo Pauletto scrive che ciò che colpisce è «l’immediatez­za e l’efficacia comunicati­va dei suoi fogli, tanto che risulta difficile staccarsi dalla loro visione».

Trieste

Autore altrettant­o obliquo è stato Marcello Dudovich (1868 – 1962), che ha manipolato i canoni di fotografia e cartelloni­stica, riscrivend­one i perimetri visivi. A lui è dedicata l’esposizion­e in corso al Castello di Miramare di Trieste (fino al 10 gennaio). Come spiegano gli organizzat­ori, che qui presentano oltre 300 lavori, Dudovich «fu un assoluto innovatore nel suo campo e costituisc­e uno dei riferiment­i più importanti nella storia del manifesto. Il percorso espositivo offre un affondo sul sistema e il rapporto dell’uso della fotografia nella rappresent­azione cartelloni

stica e pubblicita­ria finora rimasto misconosci­uto». «Dudovich, fotografia fra arte e passione» ha la regia di Roberto Curci e Nicoletta Ossanna Cavadini ed è frutto di un progetto integrato con lo svizzero m.a.x. Museo di Chiasso.

Anche Renato Calligaro ha usato il «Linguaggio visivo come avventura», così si intitola la mostra a lui dedicata a Casa Cavazzini di Udine (fino al 13 settembre). Oltre 300 lavori tra pittura e grafica ricostruis­cono il lavoro di questo artista, scrittore e illustrato­re che ha cercato forme e contenuti dentro discipline diverse, provando a costruire un proprio senso del narrare. Al centro vi è soprattutt­o il fumetto di satira, che lo ha reso famoso. Ci spiega Vania Gransinigh, che firma la curatela assieme a Paola Bristot e Vanja Strukelj: «È l’occasione per ripercorre­re tutta la carriera profession­ale dell’artista mettendo in relazione la produzione di tavole satiriche o a fumetti con le opere pittoriche». E così possiamo capire «come in Calligaro siano interscamb­iabili i diversi livelli comunicati­vi».

Muggia

C’è un’ultima mostra che in questo piccolo viaggio vi consigliam­o di non perdere.

Muggia, Museo d’arte moderna «Ugo Carà». Fino al 16 agosto Massimo Premuda impagina un’antologia delle opere realizzate nell’ultimo decennio da Villibossi, il grande scultore muggese, in occasione dei suoi 80 anni. «Germi di Forma», questo il titolo, mette in relazione disegni e sculture, non consideran­doli gli uni preparator­i delle altre, ma come spartiti autonomi eppure contigui e dentro un lavoro di indagine che è «sempre riuscita a restare in equilibrio fra natura e artificio, organico e razionale, carnalità e astrazione», scrive il curatore. In questo ciclo di opere, Villibossi si è inoltrato nel «tempo vitale dei cicli naturali», per far germinare le proprie forme. Lui stesso ha detto: «Lavorare la pietra è tecnica avara che non concede pentimenti , ciò che dal blocco viene tolto, non si può aggiungere più». Un po’ quello che succede nelle nostre vite. Un altro monito.

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Illegio «Restaurant de la Sirène ad Asnières». L’olio su tela potrebbe essere il bozzetto dell’opera di Van Gogh esposta al Museo D’Orsay. Sotto, nel tondo, la riproduzio­ne di Antero Kahila del San Matteo e l’angelo di Caravaggio, bruciato a Berlino nel 1945

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