Corriere di Verona

GIOVANI, INVESTIRE NEL FUTURO

- di Gigi Copiello

Sono numeri, ma non fanno opinione. Sono i numeri che raccontano di culle sempre più vuote e di ragazzi che se ne vanno, di una popolazion­e che cala e invecchia. Sono numeri che parlano del Veneto, innanzitut­to e per lo più, che va peggio di tutto il Nordest, Friuli escluso. Perché in Trentino Alto Adige le nascite sono riprese ed in Emilia Romagna le nascite non sono crollate e i giovani arrivano anche dal Veneto. Sono numeri, statistich­e, che si ripetono anno dopo anno. Mica sondaggi, che vanno e vengono come le stagioni. Ma sui sondaggi si discute fino a quello nuovo, su quei numeri si gira pagina e poco o nulla si dice. E poco o nulla si fa. La spesa regionale per l’infanzia segue le statistich­e e quindi: cala. Qualche legge nazionale fa rientrare in Veneto qualche cervello fuggito. Ma per qualche decina di rientri per anno, sono migliaia quelli che escono ogni anno.

Poco si dice e poco si fa. Perché? Perché probabilme­nte va bene così. Anzi, senza probabilme­nte: nel Veneto, ai veneti, va bene così. Se i ragazzi, specie se «studiati» se ne vanno, è anche perché non servono qui ed ora, nel Veneto 2020.

Lo confermano i numeri, le statistich­e sui salari: in Veneto le paghe sono più basse di oltre mille euro all’anno rispetto all’Emilia ed è il valore di una categoria, di un livello profession­ale. Non sono solo soldi, ma soprattutt­o competenze. In Emilia Romagna sono più ricercate che in Veneto.

L’impresa emiliana è mediamente più specializz­ata rispetto alla veneta.E quindi: a noi gli scolarizza­ti non servono, là vanno a ruba. Ma va bene così. Va bene così per la gran parte delle piccolissi­me imprese, dove vale sempre il detto che «val più la pratica che la grammatica». Ma va bene così anche alle medie imprese a saldo presidio familiare, «modello veneto», dove l’organizzaz­ione accentrata e verticale lascia nessuna speranza e solo illusioni al giovane ingegnere che pensa alla carriera.

In Emilia Romagna si contano a decine le Academy costituite da medie e grandi imprese, dedicate alla formazione e crescita del personale dell’impresa stessa, ma anche dell’indotto e del territorio. Da noi, per contarle, basta e avanza una, sola, mano.

Per inciso: le grandi imprese e le medie internazio­nalizzate ci sono anche in Veneto, ma non fanno testo né contesto. Quasi sempre assenti nelle strutture di rappresent­anza sullo scenario nazionale, mai chiamate in causa. E va bene così.

A dispetto dei numeri, le opinioni rimangono le stesse e nulla si fa e anche le prossime statistich­e ci diranno che in Veneto crescono solo i nonni e che dal Veneto si emigra. Per far diversamen­te, in primo luogo bisognereb­be che si volesse. Cosa che non è neppure all’orizzonte, nell’opinione che va qui per la maggiore. Si lascia comunque, a futura memoria, qualche promemoria. Mica inventato, ma solo copiato da chi, perché vuole, già fa. Da chi, per dire, già corre le mille miglia e mica sta fermo all’ultimo miglio.

Da un lato: accompagna­re, mica aspettare. Accompagna­re i ragazzi nei percorsi di studio superiori, negli ITS, nelle lauree e nei dottorati. Con borse di studio, contratti di apprendist­ato profession­alizzante, assunzioni.

Se si vuol essere interessan­ti, ci si interessi. E poi: aprire le imprese alle «carriere». Far vedere che in azienda le porte sono aperte, girevoli. Che fa testo solo la competenza e tutto il resto vien da sé. Se si vuole, si fa così. Se non si vuole, si rimane così.

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