Mancano due turisti su tre stop a 50mila licenziamenti
Veneto Lavoro rilancia l’allarme sull’autunno: occupazione in ripresa per il blocco delle uscite
50 mila i licenziamenti in meno in Veneto rispetto al 2019. Il dato è giunto ieri dall’agenzia Veneto Lavoro. Sarà uno dei datichiave con cui il Veneto dovrà confrontarsi in autunno, dopo un’estate in cui, per il turismo, si registrano in meno due ospiti su tre.
Sulla carta i numeri che esprimono le dinamiche del lavoro dipendente nella nostra regione appaiono in ripresa. E fra il 1. gennaio e il 31 luglio, i neoassunti sono superiori ai licenziati per 40 mila unità (ma nel saldo mancano 50 mila posti rispetto a un anno fa) e nel solo mese di luglio il dato è vicino ai 12 mila, superiore a quello di un anno fa. Ma se non si tiene conto del blocco dei licenziamenti si chiudono gli occhi su un pacchetto di più di 50 mila addetti potenzialmente tenuti attivi «artificialmente» con lo stop e gli ammortizzatori sociali. E tutto questo mentre si attende di capire, dalla temperatura del Ferragosto, come il turismo impatterà sul segmento più volatile dell’occupazione veneta, cioè quello dei contratti a termine. La lettura in parallelo di due documenti diffusi ieri, l’uno dall’agenzia regionale Veneto Lavoro e il secondo dall’Osservatorio turistico federato del Veneto, fornisce nuovi elementi per elaborare le aspettative per il vicino autunno e immaginare i possibili scenari a seconda degli interventi legislativi dei prossimi mesi.
L’analisi delle dinamiche occupazionali nel loro insieme proposta da Veneto Lavoro spezza la prima parte dell’anno in base alle date-chiave dettate dal diffondersi dell’epidemia. Ci sono i confronti con l’anno prima che vanno dal 1 al 23 febbraio, e che si possono ritenere «a parità di condizioni», poi l’intervallo del tutto anomalo che va da qui al 3 maggio, dunque per tutta la durata del lockdown, e infine le settimane successive alla data di progressiva riapertura delle attività.
La considerazione più significativa e preoccupante sta nelle colonne delle «cessazioni» del 2019 e del 2020 fra le date del 23 febbraio e il 31 luglio. Cioè le interruzioni dei rapporti di lavoro che si sono contati in quei circa 160 giorni e che contengono i casi di licenziamento. Nel 2019 il dato è vicino alle 222 mila unità, nel 2020 questo scende a 169 mila. La differenza è di 53 mila ed è la ragione per cui, nonostante una contestuale diminuzione di neoassunti per 106 mila unità (169 mila contro i 275 mila di un anno fa), il saldo attuale è molto vicino allo zero (-222 unità). Riassumendo: nonostante tutto quello che è successo dallo scoppio della pandemia ad oggi, i lavoratori veneti, pur non aumentando, rispetto ad un anno fa non sono diminuiti. Ma cosa succederà ai 53 mila in meno, rispetto al 2019, che non hanno perso il posto di lavoro quando le aziende potranno ricominciare a licenziare? Detta in altro modo, quanti sono i cassintegrati di oggi in virtù del Covid-19 che, al termine dell’ammortizzatore sociale straordinario, riavranno il loro impiego?
«Il blocco dei licenziamenti e l’estensione della Cig – ricorda l’assessore regionale veneto alle politiche dell’occupazione, Elena Donazzan – sono tuttora oggetto di discussione per una probabile proroga. I miglioramenti negli ultimi due mesi sono dovuti alla ripresa delle assunzioni che, se in piena crisi, tra il 23 febbraio e il 3 maggio, avevano mostrato un -61% sono tornati al -6% in luglio. I danni subiti nella fase di lockdown, tuttavia – conclude Donazzan - non sembrano recuperabili nel breve periodo. Si prospetta un autunno difficile: i disoccupati potrebbero tornare ad aumentare. Dovremo farci trovare pronti per dare un sostegno concreto, magari con misure come l’assegno per il lavoro che potrà rivelarsi uno strumento valido: ha già dimostrato in la sua efficacia coinvolgendo più di 40 mila veneti e portando alla stipula di 26 mila contratti di lavoro, il 37% dei quali a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata superiore ai 6 mesi».
Il comparto sorvegliato speciale in questo momento è quello turistico, ambito in cui ogni minimo condizionamento anche soltanto psicologico sulla riaccensione di focolai di Covid-19 si riflette immediatamente su flussi e prenotazioni e, di conseguenza, sul lavoro degli stagionali. Un contributo all’analisi è giunto ieri dal rapporto dell’Otfv alla Camera di Commercio di Treviso. Anche qui le considerazioni vanno sezionate a seconda delle possibili mete dei viaggiatori. Le prenotazioni per il periodo estivo, ad esempio, hanno fatto registrare un calo del 77% per le città d’arte ma un più contenuto -52% sulle spiagge.
Se in senso generale ad oggi si considerano persi due ospiti su tre, ad agosto la flessione del lavoro nelle strutture turistiche potrebbe limitarsi ad un 20-25%, con le stime migliori sempre al mare. Vero che oggi il 70% di viaggiatori stranieri sul totale non c’è più, lasciando la maggioranza ai connazionali. Ed è altrettanto accertato che sono cambiati anche i criteri di scelta della destinazione. In testa c’è la possibilità di raggiungere o meno la meta in auto, così da poter rientrare subito a casa in caso di necessità, seguita dalla precedente conoscenza dei luoghi e dall’affidabilità del sistema sanitario nei territori che si andranno a visitare.