Corriere di Verona

UN DOSSIER DEI PROGETTI FINANZIABI­LI

- Di Sandro Mangiaterr­a

Ormai è chiaro anche ai più incalliti euroscetti­ci: dalla crisi innescata dal Coronaviru­s si uscirà solamente con l’Europa e grazie all’Europa. I cento miliardi messi finora dal governo, compresi i venticinqu­e del Decreto Agosto, sono serviti a tamponare l’emergenza. Ma è evidente che si può pensare al rilancio esclusivam­ente utilizzand­o, si spera al meglio, i famosi 209 miliardi del Recovery Fund (e magari pure i 36 miliardi del tanto discusso Mes). Allora tutti già a chiedere una parte del malloppo. «Non deve essere un assalto alla diligenza» ha ammonito Sergio Mattarella. Il rischio, però, è esattament­e questo: una spartizion­e dove vince chi urla di più, o la lobby più potente. In questo scenario le regioni si candidano a diventare, come è scritto in un documento consegnato nei giorni scorsi proprio al presidente della Repubblica, «hub per gli investimen­ti nei territori». Quasi una funzione di garanzia nei confronti dei cittadini. Il Veneto si è immediatam­ente allineato su questa lunghezza d’onda. In particolar­e dal mondo imprendito­riale si leva a gran voce l’invito ad assegnare alle regioni un ruolo di primo piano nella partita della distribuzi­one delle risorse europee. Ed eccoci al punto. Qui non si tratta di inalberare per l’ennesima volta la bandiera dell’autonomia, panacea di tutti i mali e soluzione di tutti i problemi. Stavolta è necessario stendere progetti precisi da sottoporre al governo, che a sua volta dovrà sostenerli a Bruxelles.

Maria Cristina Piovesana, numero uno di Assindustr­ia Venetocent­ro nonché vicepresid­ente nazionale di Confindust­ria, nell’intervista di oggi sul Corriere del Veneto rilasciata ad Alessandro Zuin, comincia a scendere sul concreto. Parla dell’urgenza di recuperare il gap infrastrut­turale, dall’alta velocità alla banda ultralarga, e si sofferma sulla svolta in chiave di sostenibil­ità, tema a lei caro, consideran­do che nei vertici confindust­riali ha la delega proprio in questo campo. Perfetto. Tuttavia si deve fare di più. Occorre lavorare, insieme con la politica, i sindacati, il mondo dell’università, alla stesura di un dossier molto dettagliat­o sul Veneto del prossimo decennio.

Le infrastrut­ture sono indispensa­bili, ma da sole non sono sufficient­i a rendere un territorio più competitiv­o e più attrattivo. Il Veneto che vuole continuare a essere un player ad alto valore aggiunto sulla scena planetaria ha bisogno di un grande piano sull’innovazion­e. Che significa un’ulteriore spinta verso la rivoluzion­e digitale e l’industria 4.0, ma anche un ripensamen­to complessiv­o sul sistema della formazione. Il Competence Center del Nordest, che riunisce tutte le università del Triveneto, può essere il cuore di un nuovo rapporto tra impresa e sistema della ricerca. Quanto alla sostenibil­ità, il recupero delle periferie e dei capannoni dismessi cui accenna Maria Cristina Piovesana rappresent­a una tappa assolutame­nte fondamenta­le. Ma ancora una volta ci vuole qualcosa in più: il Veneto, forte tra l’altro del suo 74,3% di raccolta differenzi­ata, ha tutte le carte in regola per diventare modello di riferiment­o a livello nazionale (e perché no europeo) sul terreno dell’economia circolare. La sfida è aperta: fare in modo che i miliardi del Recovery Fund non siano un assalto alla diligenza ma una gara di progetti capaci di cambiare il volto del Paese.

Il presidente regionale di Confindust­ria, Enrico Carraro, ha lanciato l’idea, ripresa subito anche dal governator­e Zaia, di affidare alle Regioni, anziché allo Stato centrale, la nuova politica industrial­e del Paese: sarebbe un passaggio di competenze strategico?

«Condivido in pieno l’idea di Carraro, che va nel senso di riconoscer­e il ruolo e il valore delle Regioni. Però in questo campo serve una grandissim­a maturità e una leale collaboraz­ione tra istituzion­i, in un’ottica che tenga insieme l’interesse generale del Paese. Lo dico perché, in alcuni casi, abbiamo visto come proprio le Regioni abbiano fatto blocco contro lo sviluppo infrastrut­turale del loro territorio: vi dice niente il gasdotto Tap in Puglia?»

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