Corriere di Verona

Nidia Cernecca, l’esule che svelò le Foibe

Morta a 84 anni, denunciò gli assassini del padre. La fuga dall’Istria e la vita a Verona

- Petronio

Non voleva che venisse usata la parola «profuga». «I profughi - diceva - hanno una terra e una patria in cui tornare. Gli esuli no. E io sono un’esule». Se n’è andata a 84 anni, Nidia Cernecca, esule istriana, che all’Italia e a Verona in particolar­e, dove ha vissuto dopo la fuga ha raccontato il dramma della sua famiglia massacrata dai titini e quello delle Foibe.

Fu l’unica esule a denunciare gli assassini del padre e dello zio.

C’era una parola,che è sia un sostantivo che un aggettivo, con cui non amava essere identifica­ta. «Profuga». «I profughi - spiegava lei hanno una terra d’origine e comunque la possibilit­à di tornarvi. Io e gli altri che hanno la mia storia siamo esuli. Perché noi una terra d’origine l’avevamo. Era l’Istria. Ed era Italia. E in Istria, Italia, nessuno di noi potrà mai più tornare».

In realtà Nidia c’era tornata. Ma quella che era la stessa terra non era più la stessa patria. Si chiamava «Croazia», quando Nidia ci tornò per guardare negli occhi il carnefice ormai novantenne di suo padre. Una delle tante «missioni» di Nidia. Che nella sua vita ha avuto uno scopo sopra tutti gli altri: raccontare per non far dimenticar­e. Ma anche raccontare per far conoscere. Lo ha fatto ininterrot­tamente, fino a a tre giorni fa, quando la professore­ssa Nidia Cernecca, esule istriana che aveva eletto Verona come sua terra d’approdo, vice presidente nazionale e presidente della sezione veneta dell’associazio­ne congiunti deportati italiani in Jugoslavia, è morta.

Ma con lei non se ne va una parte di Storia che per molto tempo è stata volutament­e cancellata. Perché Nidia Cernecca ha fatto in modo di tramandarl­a, quella Storia. E anche di farla rivivere. Di farla riemergere dal dimenticat­oio in cui alcune «ragioni di Stato» avrebbero voluto annegasse. La storia delle Foibe, delle violenze titine e di quei 350mila esuli la cui «colpa» era quella di essere italiani.

Ha girato l’Italia, l’estero, ha incontrato migliaia di studenti, Nidia. E a loro ha raccontato quello che aveva scritto da bambina, in un diario iniziato nel 1944 e che un giorno uno dei suoi tre figli, Ennio, ritrovò nel cassetto di un mobile. Uscirono i fogli e la forza di

Nidia, da quel cassetto. Che fu forse l’unica tra quei 350mila profughi a intentare una causa in tribunale contro i boia che le avevano sterminato la famiglia. In particolar­e Ivan Motika, il «boia di Gimino», morto in quell’Istria che contribuì a far diventare Croazia da pensionato italiano dell’Inps poco dopo la denuncia di Nidia.

«Pepi», il nome con cui veniva chiamato in famiglia il padre di Nidia, impiegato comunale a Gimino d’Istria dove Nidia era nata nel 1936, fu incatenato con un giogo per i buoi e portato per le vie del paese con un sacco di pietre sulle spalle. Le stesse pietre che vennero poi usate per lapidarlo. Ma la «colpa» di essere italiano Giuseppe Cernicca la pagò venendo decapitato, con la testa portata prima da un orafo per estrargli i denti d’oro e poi usata come pallone da calcio. Raccontò tutta la storia ad Ennio, Nidia. E gli raccontò anche quella dei due zii, Gaetano e Mario, trucidati come il fratello.

E decise di raccontarl­a a chiunque, quella storia. Scrisse un libro, «Io accuso». E svelò le Foibe. Quelle in cui da bambina lei - come ogni altro bimbo della Venezia Giulia,Istria o Dalmazia - andava a giocare e che divennero fosse di massa, con la gente che ci veniva murata dentro da viva. Ma non odiò mai. «Non l’ho mai odiato - raccontò in un’intervista a Stefano Lorenzetto, riferendos­i a Motika - Ho sempre preferito il ruolo di vittima a quello di assassina. Se avessimo odiato, noi istriani saremmo scesi in piazza, invece abbiamo patito in silenzio. Siamo stati vittime fino in fondo, perseguita­ti, da una parte e dall’altra».

Era un’anti comunista convinta Nidia Cernecca. Da sempre vicina alla destra, anche quella radicale. Ma non ha mai cavalcato sulle barricate. Apprezzò i dirigenti del Pd quando cominciaro­no a parlare di «gravi responsabi­lità del Pci» e poi di istituire quel Giorno del Ricordo che in Nidia ebbe una delle sua maggiori sostenitri­ci. Non esitò a definire Verona una «matrigna» quando dal Comune le mandarono un documento in cui il suo Paese di nascita era indicato come «Croazia». «Proprio Verona, proprio questa città a cui gli esuli, a cui la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia hanno dato un notevole contributo di progresso... Io non sono nata in Croazia. Sono nata in Italia. La Croazia mi ha tolto la mia famiglia e la mia patria»

Erano i primi giorni dello scorso febbraio, quando andò a Santa Lucia, nella piazza intitolata ai Martiri d’Istria e Dalmazia per la scopertura di una targa per ricordare le vittime delle Foibe. Fu lei a volerla, quella targa. «Mi è stata fatta un’ingiustizi­a irreparabi­le - raccontò a Lorenzetto in quell’intervista del 2004 -. Morirò con quella sul cuore. Senza verità non c’è giustizia. E senza giustizia non c’è pace. Sono una donna senza pace».

Esuli

Noi siamo esuli, non profughi. I profughi hanno una terra in cui tornare, noi no

L’Italia

Io sono nata in Italia, non in Croazia. La Croazia mi ha portato via la famiglia e la mia patria

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Il ricordo Nidia Cernecca
 ??  ?? Il ricordo
Nidia Cernecca con il sindaco Sboarina lo scorso febbraio alla scopertura della targa in ricordo dei martiri delle Foibe
Il ricordo Nidia Cernecca con il sindaco Sboarina lo scorso febbraio alla scopertura della targa in ricordo dei martiri delle Foibe

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