Corriere di Verona

Archiviati 5 capi d’accusa, beni restituiti a Consoli

- di Veneto Banca Milvana Citter

A chiederlo era stata la stessa Procura di Treviso, chiudendo l’inchiesta madre sul crac di Veneto Banca per ostacolo alla vigilanza, aggiotaggi­o e falso in prospetto. E ora il dissequest­ro dei beni di Vincenzo Consoli è effettivo. Il giudice Marco Biagetti ha accolto la richiesta del pm Massimo De Bortoli e ha archiviato cinque capi d’imputazion­e e disposto la rimozione dei sigilli dal patrimonio sequestrat­o all’ex amministra­tore. E quindi a conti, titoli e a Palazzo Anti Veronese, l’ottocentes­ca residenza di Vicenza del valore di 2 milioni di euro. Il sequestro era scattato nell’agosto del 2016, quando Consoli fu arrestato proprio sulla base di quei cinque capi d’imputazion­e contestati non solo all’ex ad, ma anche a manager e componenti del collegio sindacale: l’ex presidente Flavio Trinca, l’ex condiretto­re Mosè Fagiani e Stefano Bortolo, Flavio Marcolin, Pietro D’Aguì, Massimo Lembo, Renato Merlo, Michele Stiz e Diego Xausa.

Accuse cadute per effetto della nuova impronta data all’inchiesta ereditata dalla Procura di Roma. Il pm De Bortoli ha mantenuto le ipotesi di reato ma ha chiesto un solo rinvio a giudizio per i restanti tre capi d’imputazion­e per l’ex ad Consoli (udienza preliminar­e a ottobre). E l’archiviazi­one per gli altri, «scagionati» dai valori di quelle operazioni per l’acquisito di azioni finanziate dalla banca che sarebbero state così contenute (dai 5 ai 35 milioni) da non incidere sul patrimonio di vigilanza di 2 miliardi, rendendo quindi inconsiste­nte l’accusa di ostacolo alla vigilanza. Archiviate le accuse, Consoli ha riavuto i suoi beni.

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