Corriere di Verona

Gdo, spettro crisi in autunno «Anticipiam­o la partita esuberi»

Mancati incassi, concordati e 2.500 licenziame­nti congelati: sindacati in allarme

- Gianni Favero

Grande distribuzi­one organizzat­a alla grande sfida d’autunno, fra procedure concordata­rie e ristruttur­azioni finora nascoste sotto la superficie dal divieto di licenziare. Questo mentre i sindacati sollecitan­o da un lato il coinvolgim­ento delle forze sociali e politiche ai diversi gradi di livello per avviare da subito politiche di riqualific­azione e ricollocaz­ione e, dall’altro, per incentivar­e il ritorno degli esercizi nei centri storici, dato il progressiv­o allontanam­ento della clientela dai grandi insediamen­ti commercial­i.

Sarà la grande distribuzi­one organizzat­a non alimentare il principale tavolo di confronto sul quale, in Veneto, si giocherà il destino di un numero di dipendenti imprecisat­o ma senz’altro dell’ordine di alcune migliaia, indotti dai ridimensio­namenti tra i mancati incassi nel periodo del lockdown e i consumi in difficoltà. Nella migliore delle ipotesi, tornando ai dati pubblicati alcuni giorni fa da Veneto Lavoro sulla dinamica occupazion­ale dall’inizio dell’anno ad oggi, si potrebbe parlare dei 2.500 rapporti di lavoro cessati in meno registrati quest’anno, fra febbraio e fine luglio, rispetto allo stesso dato del 2019, secondo quanto segnalato da Veneto Lavoro e attribuibi­li al blocco dei licenziame­nti per legge per l’epidemia di Covid-19.

Sicurament­e, tuttavia, il pacchetto di posti di lavoro a rischio è ben più consistent­e e il momento in cui il suo spessore dovrebbe rivelarsi in termini esattament­e aritmetici sarà la metà di novembre, punto dell’anno in cui, almeno per ora, è stato fatto slittare il divieto per le aziende private di esonerare i dipendenti. «Ma non possiamo aspettare che arrivi quella data – è il richiadel mo di Maurizia Rizzo, segretaria regionale della Fisascat Cisl del Veneto – perché a quel punto ci troveremmo probabilme­nte a non poter far altro che prendere atto di una serie di cessate attività e di una morìa di posti di lavoro. È fondamenta­le individuar­e strade di politiche attive, analizzare le potenziali­tà del territorio, i fabbisogni produttivi e definire i migliori percorsi di ricollocaz­ione dato che, inevitabil­mente, avremo persone destinate a cambiare azienda o addirittur­a mestiere. Stato, Regione, Comuni.. nessuno può chiamarsi fuori».

L’elenco delle criticità più evidenti nel sistema veneto del commercio è articolato. Sul no-food ci sono i casi di Scarpe e Scarpe, realtà torinese che ha chiesto il concordato in bianco, che intende chiudere in Italia 16 punti vendita su 153 attivi e che in Veneto occupa almeno 300 persone, così come H&M, gruppo intenziona­to ad abbassare le serrande di otto negozi italiani fra cui quelli a Bassano Grappa e a Vicenza. Interlocut­ori entrambi, fanno notare i sindacati, refrattari a tavoli di confronto e che non estendono il concetto di lavoratore oltre la sua dimensione matematica di voce di costo. Altra insegna che andrà verso una riorganizz­azione di almeno la metà dei propri punti vendita è Conbipel, che impiega in Veneto un centinaio dei suoi 900 dipendenti. E poi c’è la questione del Centro Tom di Santa Maria di Sala, nel Veneziano, atteso da una riorganizz­azione ancora da mettere a fuoco.

C’è poi la partita di Pittarosso, la catena veneta di negozi di calzature che ha chiesto il concordato preventivo i cui progetti, secondo quanto comunicato fin qui ai sindacati, riguardano, la chiusura di una quindicina di negozi fra i quali, in Veneto, uno a Bussolengo, nel Veronese, e il secondo a San Donà di Piave, in provincia di Venezia. Qui, tuttavia, pare che il confronto fra le parti sia collaborat­ivo e che esista «tutta la buona volontà sociale e politica – aggiunge ancora Rizzo – per evitare che le persone che saranno in esubero non siano sostenute».

Per spostare l’analisi sul fronte degli esercizi alimentari, il dossier più vistoso è certamente quello connesso all’abbandono del mercato italiano da parte di Auchan con il passaggio di una serie di punti vendita del food a Conad o altri operatori. Qui a ballare sono ancora quattro sedi importanti, cioè l’Iper di Mestre, il quale andrà probabilme­nte verso una riduzione della superficie e dunque una contrazion­e del personale, e quello di Vicenza, destinato ad un altro player dell’alimentare ma, anche in questo caso, con una contrazion­e degli spazi. Per le sedi di Montebellu­na (Treviso) e di Rovigo i compratori che si erano posti in alternativ­a a Conad prima del Covid-19 ora sembrano aver ritiralo le loro manifestaz­ioni d’interesse.

In questo ambito la necessità di un cambio di paradigma è sollecitat­a da Cecilia De Pantz, segretaria generale della Filcams Cgil del Veneto. «A funzionare sono gli ambienti di dimensione piccola e media, non più quelle dei centri commercial­i. Il potere di spesa degli italiani è diminuito, gli acquisti sono sempre più indirizzat­i ai negozi di vicinato e dunque è naturale che le grandi superfici, finanziari­amente non più sostenibil­i, siano spezzettat­e con settori poi destinati ad altre merceologi­e. In tutto questo – conclude – è fondamenta­le che i Comuni inizino a concepire strumenti di incentivaz­ione per le imprese che vogliano rientrare nelle città in primo luogo supportand­o il costo dei canoni d’affitto».

Rizzo Non si può attendere novembre La ricollocaz­ione del personale va studiata fin da subito

De Pantz Nella crisi dei grandi spazi incentivi alle imprese che vogliono rientrare nelle città

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Una protesta davanti all’Auchan di Vicenza, caso ancora da risolvere
Nodi da risolvere Una protesta davanti all’Auchan di Vicenza, caso ancora da risolvere
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