APPALTI, IL VULNUS PERICOLOSO
Tra le pieghe del «Dl semplificazioni» spunta una norma che potrebbe rivelarsi assai pericolosa per le imprese che operano nel settore degli appalti, introdotta per rispondere ad una sollecitazione della Commissione europea, la quale ha ravvisato un (discutibile) contrasto della norma nazionale con le direttive europee in materia. Si stima che nel Veneto vi siano ogni anno oltre 12 mila appalti pubblici per un importo complessivo superiore ai 7 miliardi (dati Commissione regionale appalti), sicchè ben si comprende quale possa essere la magnitudine di una simile disposizione. Ebbene, la norma incriminata è contenuta nell’art. 8 del decreto, il quale prevede che un operatore economico possa essere escluso dalle gare d’appalto quando la stazione appaltante sia in grado di dimostrare che lo stesso non abbia ottemperato agli obblighi di pagamento di tributi (e di contributi previdenziali), anche se non definitivamente accertati. Ora, per capire quanto possa essere pericoloso il riferimento ai debiti «non definitivamente accertati», è necessario ricordare che l’atto di accertamento degli illeciti fiscali (della cosiddetta evasione) è un atto di parte, con il quale l’Agenzia delle entrate, dopo aver svolto le indagini, ricostruisce il reddito o il volume d’affari del contribuente sulla scorta della sua interpretazione dei fatti e delle norme. Ma non è detto che quella interpretazione sia corretta e sia fondata.
Non a caso è previsto il diritto del contribuente di rivolgersi al giudice tributario, affinchè questo stabilisca se l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia sia legittimo oppure no. Ciò chiarito, la norma introdotta dal citato art. 8, se non sarà correttamente interpretata o, meglio ancora, modificata dal Parlamento, potrebbe condurre ad una situazione veramente spiacevole.
Il contribuente, infatti, che abbia ricevuto un avviso di accertamento, potrebbe essere messo di fronte ad un bivio: pagare, obtorto collo, quanto contestato dall’Agenzia, rinunciando a difendersi, pur di lavorare; oppure impugnare l’avviso di accertamento e non pagare fino alla decisione del giudice, ma, a questo punto, rischiando l’esclusione dalle gare. Mi pare evidente che una simile situazione contrasterebbe con una serie di principi costituzionali, primo fra tutti il diritto di difesa (che la Costituzione sancisce come «inviolabile») e poi il diritto di esercitare liberamente un’attività economica, nella misura in cui, di fatto, si costringesse il contribuente a pagare anche di fronte alle pretese più infondate dell’Agenzia, rinunciando a difendersi. Per evitare simili contrasti, credo sia necessario interpretare cum grano salis la nuova disposizione, coordinandola con le regole del processo tributario e consentendo al contribuente di evitare l’esclusione attraverso il pagamento (provvisorio) delle imposte dovute in base all’accertamento, secondo le percentuali stabilite dalla legge, senza però essere costretto a rinunciare al diritto di rivolgersi al giudice e di ottenere il rimborso di quanto pagato, in caso di vittoria. Inoltre, l’impresa non dovrebbe essere esclusa dalla gara se, pur avendo ricevuto un accertamento, avesse già ottenuto una pronuncia favorevole (ancorchè non definitiva) da parte del giudice. In tal modo si potrebbe trovare un bilanciamento tra i diversi interessi in gioco per non penalizzare eccessivamente le imprese e, nel contempo, consentire allo Stato italiano di evitare la procedura di infrazione minacciata dalla Commissione Europea, fermo rimanendo che sarebbe opportuno che, in sede di conversione del decreto, il Parlamento intervenisse modificando la disposizione in modo tale da renderla coerente con i principi della nostra Costituzione.