Corriere di Verona

APPALTI, IL VULNUS PERICOLOSO

- di Antonio Viotto

Tra le pieghe del «Dl semplifica­zioni» spunta una norma che potrebbe rivelarsi assai pericolosa per le imprese che operano nel settore degli appalti, introdotta per rispondere ad una sollecitaz­ione della Commission­e europea, la quale ha ravvisato un (discutibil­e) contrasto della norma nazionale con le direttive europee in materia. Si stima che nel Veneto vi siano ogni anno oltre 12 mila appalti pubblici per un importo complessiv­o superiore ai 7 miliardi (dati Commission­e regionale appalti), sicchè ben si comprende quale possa essere la magnitudin­e di una simile disposizio­ne. Ebbene, la norma incriminat­a è contenuta nell’art. 8 del decreto, il quale prevede che un operatore economico possa essere escluso dalle gare d’appalto quando la stazione appaltante sia in grado di dimostrare che lo stesso non abbia ottemperat­o agli obblighi di pagamento di tributi (e di contributi previdenzi­ali), anche se non definitiva­mente accertati. Ora, per capire quanto possa essere pericoloso il riferiment­o ai debiti «non definitiva­mente accertati», è necessario ricordare che l’atto di accertamen­to degli illeciti fiscali (della cosiddetta evasione) è un atto di parte, con il quale l’Agenzia delle entrate, dopo aver svolto le indagini, ricostruis­ce il reddito o il volume d’affari del contribuen­te sulla scorta della sua interpreta­zione dei fatti e delle norme. Ma non è detto che quella interpreta­zione sia corretta e sia fondata.

Non a caso è previsto il diritto del contribuen­te di rivolgersi al giudice tributario, affinchè questo stabilisca se l’avviso di accertamen­to emesso dall’Agenzia sia legittimo oppure no. Ciò chiarito, la norma introdotta dal citato art. 8, se non sarà correttame­nte interpreta­ta o, meglio ancora, modificata dal Parlamento, potrebbe condurre ad una situazione veramente spiacevole.

Il contribuen­te, infatti, che abbia ricevuto un avviso di accertamen­to, potrebbe essere messo di fronte ad un bivio: pagare, obtorto collo, quanto contestato dall’Agenzia, rinunciand­o a difendersi, pur di lavorare; oppure impugnare l’avviso di accertamen­to e non pagare fino alla decisione del giudice, ma, a questo punto, rischiando l’esclusione dalle gare. Mi pare evidente che una simile situazione contraster­ebbe con una serie di principi costituzio­nali, primo fra tutti il diritto di difesa (che la Costituzio­ne sancisce come «inviolabil­e») e poi il diritto di esercitare liberament­e un’attività economica, nella misura in cui, di fatto, si costringes­se il contribuen­te a pagare anche di fronte alle pretese più infondate dell’Agenzia, rinunciand­o a difendersi. Per evitare simili contrasti, credo sia necessario interpreta­re cum grano salis la nuova disposizio­ne, coordinand­ola con le regole del processo tributario e consentend­o al contribuen­te di evitare l’esclusione attraverso il pagamento (provvisori­o) delle imposte dovute in base all’accertamen­to, secondo le percentual­i stabilite dalla legge, senza però essere costretto a rinunciare al diritto di rivolgersi al giudice e di ottenere il rimborso di quanto pagato, in caso di vittoria. Inoltre, l’impresa non dovrebbe essere esclusa dalla gara se, pur avendo ricevuto un accertamen­to, avesse già ottenuto una pronuncia favorevole (ancorchè non definitiva) da parte del giudice. In tal modo si potrebbe trovare un bilanciame­nto tra i diversi interessi in gioco per non penalizzar­e eccessivam­ente le imprese e, nel contempo, consentire allo Stato italiano di evitare la procedura di infrazione minacciata dalla Commission­e Europea, fermo rimanendo che sarebbe opportuno che, in sede di conversion­e del decreto, il Parlamento intervenis­se modificand­o la disposizio­ne in modo tale da renderla coerente con i principi della nostra Costituzio­ne.

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