TESSITURA SOCIALE AL BIVIO
Mai come in questo «anno bivio», il mese di settembre è carico di pressioni di natura interna ed esterna. Dal timore della ripresa del Covid alla ripartenza della scuola, dalla riattivazione dell’economia e dell’occupazione agli appuntamenti legati alle consultazioni per il referendum costituzionale e il rinnovo dei Consigli regionali, per restare solo agli avvenimenti più significativi che toccano il nostro Paese. Un concentrato di vicende che rendono sempre più bollente un contesto politico-sociale decisamente sotto stress. Tutto passa per l’alveo della politica che oggi può essere rappresentato come una pentola a pressione sopra a una fiamma che non si spegne mai e che stenta a far uscire il vapore dalla valvola, nonostante già da tempo emetta uno strano sibilo di avvertimento. La preoccupazione che tutto possa esplodere è insita in tanti. L’Italia, vista da un altro versante, si compone di forze e capacità imprenditoriali e sociali cui sta sempre più stretto il pentolone politico, blindato in sé stesso e incapace di immaginare una «cucina» e un «menù» di solu(a)zioni per il Paese che possano valorizzare e trarne beneficio da qualificati ingredienti (idee ed esperienze), chef (persone) e ristoranti (imprese profit e non profit, università e centri di ricerca, …) presenti lungo lo Stivale. La sensazione è che il punto di svolta di questo impasse sia sempre più necessario e improrogabile .
Anche se, d’altro canto, si fatica a individuarlo continuando, tutti, a relazionarsi con la politica in modo obsoleto senza percorre una via diversa e alternativa. Una svolta che, purtroppo, non passa nemmeno per quelle riforme costituzionali, prima votate a larga maggioranza e poi ritrattate a breve distanza perché ritenute non idonee, in un continuo «giocare» nelle scelte e nelle decisioni che degrada quel ruolo di «onorevoli» che contrassegna chi rappresenta il popolo italiano.
Forse, per le riforme strutturali e costituzionali, bisognerebbe introdurre il rito del conclave, costringendo chi di dovere a uscire dal luogo delle decisioni solo con provvedimenti completi dei necessari adeguamenti legislativi che rendono coerenti e funzionali le scelte fatte.
La relazione tra politica e cittadinanza - che significa essere persone attive, responsabili e contributive e non solo depositarie di diritti - va pertanto urgentemente riformulata, ridefinita e riattivata in duplice direzione. Da un lato le forze politiche dovrebbero ammettere (il «peccato» semmai è l’omissione) la necessità di farsi contaminare dalle organizzazioni attive nella comunità. Dall’altro, noi cittadini dovremmo sforzarci di ripopolare i luoghi della politica, che spesso ci appaiono come spazi inclini al puro esercizio del potere e agli interessi di parte, riscoprendo il concetto chiave del «competere» in un «com-partecipare» alle decisioni, perché è nell’altro che si trovano le indicazioni utili a fare il meglio di ciò a cui si è chiamati. E questo vale sia che la vittoria derivi da un solo voto che da milioni di consensi.
Un percorso di riavvicinamento tra istituzioni e società è ineludibile e non più procrastinabile per non (dis)perdere il bello e il buono che ancora c’è nel nostro territorio e nell’intero Paese. Pena essere sempre più soggetti a sventolate, o a devastanti «tornadi» economici, occupazionali, finanziari, sociali, demografici, educativi, criminali, tecnologici e ambientali. E questi ultimi, purtroppo, sono davanti ai nostri occhi, come le vicende delle due banche popolari che sono dell’altro ieri.