«Pronti a ripartire, la didattica in presenza è imprescindibile»
Barresi, dirigente dell’ufficio scolastico territoriale: «Fase cruciale, lavoriamo per risolvere i problemi»
Siamo al giro di ricognizione prima dell’accensione dei semafori verdi. Tra dubbi, ansie e polemiche, la scuola scalda i motori e cura gli ultimi dettagli in vista della partenza di lunedì. «È evidente che ci siano un po’ di confusione e disorientamento – ammette Albino Barresi, 58 anni, giurista con una lunga esperienza formativa di dirigente scolastico, da maggio 2018 dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Verona - Noi stiamo lavorando per risolvere i problemi e tenere il più possibile tutto sotto controllo. Ora siamo nella fase cruciale».
Andiamo dritti al punto dottor Barresi; Verona è pronta a ripartire?
«Sostanzialmente ripartiremo con la didattica in presenza. Possiamo garantire un’apertura quasi integrale, salvo per gli istituti colpiti dal maltempo, come è successo a Montecchia di Crosara dove la scuola è rimasta scoperchiata e riaprirà il 1° ottobre. Abbiamo avuto una serie d’incontri, due anche in prefettura con i soggetti interessati; è stato fatto il massimo per partire, qualcosa da aggiustare c’è, ma ci può stare».
I banchi monoposto stanno arrivando?
«Il 7 settembre è iniziata la distribuzione a tappeto dei banchi richiesti. Non dovremmo avere problemi».
Finanziamenti a sostegno?
«Sono arrivati i contributi, Risorse Covid, per poter nominare nuovo personale in aggiunta a quello assegnato nel caso vi fosse bisogno di sdoppiare le classi in modo articolato. Alcune scuole hanno ricevuto da 300 a 500mila euro. Il 90% delle richieste è stato accolto».
Ma non sarebbe stato meglio ripartire dopo le elezioni regionali?
«La ministra Azzolina era contraria. Qualche Regione ha preso autonomamente questa decisione, ma non il Veneto. Noi non possiamo farci nulla. Il problema, è che non sappiamo ancora se la prossima settimana le scuole avranno tutti i docenti: alcuni hanno rifiutato la nomina in ruolo; preferiscono aspettare per prendersi una supplenza più comoda e non spostarsi di parecchi chilometri da casa. Devo dire che la procedura su questo tema è stata un po’ farraginosa».
La didattica a distanza proseguirà?
«Non sarà prevalente, ma ci potrà essere soprattutto nelle scuole del secondo settore dal terzo anno in poi. La didattica a distanza è sicuramente una buona metodica, ma non è risolutiva. La didattica in presenza con il contatto umano rimane insostituibile».
In classe si sta con la mascherina?
«La si tiene nelle aule piccole laddove il distanziamento di un metro non può essere garantito. Ogni scuola si sta attrezzando per areare le aule e concedere agli alunni qualche stacco dall’uso statico e continuo della mascherina. Nelle aule ampie, il problema non sussiste. Ogni scuola ha poi la possibilità di fare lezioni
più brevi tenendo presente anche un’altra questione…». Quale?
«Il trasporto, una criticità che al momento ci sfugge. Alunni che entreranno prima, altri dopo: non so se la Conferenza Stato-Regioni abbia preso una decisione, a me non risulta. L’accordo era l’80% della capienza sui bus ma noi ufficialmente non abbiamo ricevuto comunicazioni. Ci auguriamo arrivino presto».
Un altro problema che si prospetta, è quello dei cosiddetti «lavoratori fragili»…
«C’è un vuoto normativo. Più di un preside mi ha chiamato. Il medico competente segnala il caso alla scuola; il medico di base non ha però gli strumenti per certificare la patologia. È un problema aperto, speriamo venga risolto presto».
In caso di positività che succede?
«Sarà il Dipartimento Prevenzione a monitorare la diffusione del contagio. Ogni scuola ha un suo referente Covid che fungerà da interfaccia con la task force del Dipartimento Prevenzione. Domani mattina è in programma un incontro video con l’Usl 9per parlare proprio della formazione dei referenti scolastici per il Covid.».
Perché misurare la febbre a casa e non a scuola?
«Dal punto di vista pratico, misurare la febbre a tutti all’ingresso è ingestibile, non è fattibile. Tra l’altro, nel caso degli asintomatici non serve a nulla. Corresponsabilizzare le famiglie è utile in questo senso. Nel caso di febbre il ragazzo viene accompagnato in una stanza isolata, interviene il referente Covid, si chiama la famiglia, sarà quindi il medico di base a decidere se c’è la sintomatologia per fare intervenire l’Ufficio di Prevenzione».
Veniamo infine alle polemiche. Lei che idea si è fatto?
«Comprensibili, per carità, ma se sono strumentali non mi sta bene. La cosa principale è garantire una scuola che fornisca i fondamenti culturali ai nostri ragazzi per prepararli al futuro. Abbiamo tanti problemi, ma c’è chi sta peggio di noi; proviamo quindi a vedere il bicchiere mezzo pieno. Lascio le polemiche ad altri, cerchiamo piuttosto di collaborare per dare ai nostri ragazzi una scuola».