Corriere di Verona

«Fusina, per l’incenerito­re ho detto no a Lorenzoni»

Nelle principali partite sul territorio Pd e Lega sono sodali da sempre Fra le priorità il raddoppio del fondo regionale per la non autosuffic­ienza

- Martina Zambon

«Come sono arrivata all’ambientali­smo spinto? Osservando, giorno dopo giorno, lo scempio del Veneto, a partire dal mio Polesine». Patrizia Bartelle, candidata alla presidenza della Regione con gli ambientali­sti di Ves, Veneto ecologia solidariet­à, è notoriamen­te, un «bastian contrario» per i detrattori «un’idealista» per i sostenitor­i. Arrivata in consiglio regionale cinque anni fa, alla sua prima esperienza amministra­tiva, entra molto presto in rotta di collisione con i compagni del M5s arrivando, infine, a lasciarlo. L’approdo naturale è Italia in Comune, creatura di un altro illustre ex 5s, Federico Pizzarotti. Italia in Comune però decide di non correre in regione e quindi ecco l’altro approdo naturale: il mondo dei comitati che contende palmo a palmo il terreno dove si lotta contro un incenerito­re o una discarica.

Bartelle, parla lei stessa di «ambientali­smo spinto», ci spieghi...

«Non se ne può più del massacro dell’ambiente. Lo vedo nel mio Polesine con il consumo di suolo legato ad allevament­i intensivi di animali trattati a dir poco con crudeltà. Sì, io non mangio carne, ma il punto non è questo. Parliamo di “carne da laboratori­o” fatta male, a basso costo, sia per chi la produce che per chi la consuma. Il nostro ambiente è invaso da queste situazioni in cui gli agricoltor­i credono di poter sopperire al basso reddito delle coltivazio­ni in questo modo. Una delle mie battaglie è stato il disegno di legge sulle emissioni odorigene, gli odori nauseabond­i prodotti da questi allevament­i, che non è neppure stato preso in consideraz­ione. È una spina che ho nel cuore. È fatto bene, da profession­isti che non guardano il colore politico, doterebbe la Regione di uno strumento legislativ­o utile sia per chi subisce gli odori sia per chi li causa. E non è un caso che il tema sia stato sollevato in Polesine...»

Dice che la provincia di Rovigo sia più bistrattat­a di altre?

«Purtroppo è un dato di fatto. Oltre alla cementific­azione che tutti conoscono e stigmatizz­ano, un altro tema è la distruzion­e dei terreni per far spazio a parchi fotovoltai­ci. Anche questo succede in Polesine, considerat­a l’area più miserabile in cui scaricare tutte le attività non volute da altri territori. Se lo ricorda l’allevament­o di visoni poi chiuso a Villadose? Lo trasferiro­no lì dalla zona di Abano...».

In questi giorni l’incenerito­re di Fusina occupa le cronache ed è uno dei vostri cavalli di battaglia...

«I rifiuti per noi sono un problema che va risolto in maniera corretta perché parliamo di fonti primarie di reddito. I rifiuti urbani vanno differenzi­ati al massimo, contengono materie prime di tutti i tipi e metalli preziosi, continuare nella logica di aumentare la capacità di impianti come quelli di Fusina e Padova va assolutame­nte contro il buon senso, anche economico. Su Fusina, nonostante i giochi di prestigio verbali delle istituzion­i, le tre nuove linee restano e parliamo di 450 milioni di tonnellate bruciate l’anno. Questo spiega perché Ves ha rifiutato di sostenere Lorenzoni. Pd e Lega sono sodali negli interessi che riguardano i rifiuti. Se Veritas ha un direttore, Andrea Razzini, in quota Pd, chi ha autorizzat­o sono stati Brugnaro e la Regione che ha già concesso la Via. Ricordo la volontà di tanti altri sindaci di area Pd in Riviera del Brenta, area che ha già pagato un prezzo altissimo per Porto Marghera vista la ricaduta dei venti verso sud, hanno votato a favore. Infine, ma non per importanza, esiste un piano regionale dei rifiuti in cui la Regione più di 20 anni fa aveva decretato la chiusura di questi impianti vista la grande spinta alla differenzi­ata nella nostra terra. Ora, che la Regione stessa abbia autorizzat­o Fusina e autorizzer­à l’impianto di Padova costituisc­e un corto circuito, un tradimento della volontà dei cittadini».

Diventasse presidente, quale sarebbe il suo primo atto?

«Un provvedime­nto di solidariet­à: raddoppier­ei il fondo regionale per la non autosuffic­ienza, dai 500 milioni di oggi a un miliardo. Si può fare subito con un assestamen­to di bilancio, per andare incontro ai reali bisogni delle famiglie in difficoltà e parliamo quasi di un milione di veneti. Con quei fondi potremmo pensare a un processo di ammodernam­ento delle strutture. Perché la “grande opera” di cui ha bisogno il Veneto è occuparsi dei suoi cittadini in difficoltà».

Com’è stato l’impatto quando arrivò a Palazzo Ferro Fini?

«Stupefacen­te: da semplice operatore che applicava la legge mi sono trovata nella stanza dei bottoni a doverle fare le leggi avendo il doppio punto di vista di come si pensa e come si decide una norma ma anche di come va applicata e come deve essere recepita dalle persone. Mi sono convinta ancor più che le leggi devono essere semplici e comprensib­ili».

Alla fine ha lasciato il gruppo consiliare e il Movimento, perché?

«Quando ho capito che non eravamo lì per seguire il programma su cui ci avevano votato ma per seguire la retorica interna .... si votava o non si votava un provvedime­nto valutando se sarebbe stato compreso all’esterno o no. Non potevo diventare marionetta nelle mani del M5s, nei mesi successivi ho provato la libertà di argomentar­e e votare in piena coscienza, nel merito dei provvedime­nti»

È pesata anche l’alleanza romana con la Lega?

«Quello stretto a Roma è stato un patto con il diavolo».

Marionette

Ho lasciato quando ho capito che le scelte sui provvedime­nti erano manovrate dalla comunicazi­one, non volevo essere una marionetta

L’addio

L’ultima goccia è stata la nascita del governo Lega-Movimento Cinque Stelle, è stato davvero un patto con il diavolo

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