Corriere di Verona

SE L’ITALIA RIPARTE DA VENEZIA

- Di Paolo Costa

«L’Italia riparte da Venezia» si leggeva alla tv sui cartelloni dello stadio di Firenze esposti durante la partita di calcio ItaliaBosn­ia del 4 settembre scorso. Lo slogan era lì per ricordare il ruolo di «official hub» delle nazionali di calcio italiane che l’aeroporto di Venezia ha assunto di recente. Ma almeno per un momento non si poteva non pensare che la «ripartenza» in questione fosse quella economica e sociale post Covid del nostro Paese. In fondo, se esistono, come esistono, dei «dove» muovendo dai quali la ripartenza nazionale può diventare più efficace, Venezia può/deve essere tra questi. La sola condizione è che il faticoso dibattito in corso sulle priorità d’impiego del recovery fund europeo consolidi la convinzion­e della necessità di una rottura struttural­e del sentiero di sviluppo del nostro Paese. Aspettare e sperare che sostenendo i consumi e salvaguard­ando qualsiasi impresa il sistema produttivo italiano ritorni a crescere più che negli anni pre-Covid è solo foriero di tragiche delusioni. Non basta ricostruir­e quello che il Covid ha distrutto, dobbiamo far uscire economia e società italiane da una crisi che il lockdown e la convivenza con la pandemia hanno solo esacerbato. Provvidenz­iali a questo scopo la carota e il bastone europei. La carota degli oltre 200 miliardi di euro riservati all’Italia dal Next Generation EU, il recovery fund, e il bastone dei «vincoli» virtuosi che esso impone.

Attenzione solo a progetti che aiutino l’Italia a sposare le transizion­i verde e digitale per aumentare le proprie produttivi­tà e competitiv­ità. Tra questi progetti un posto privilegia­to va riservato – per fortuna nessuno lo mette in dubbio - agli investimen­ti in infrastrut­ture «produttive»: digitali, energetich­e, idriche e di trasporto.

Tutti investimen­ti che hanno un «dove»; che producono effetti più elevati e duraturi di reddito e occupazion­e in un luogo piuttosto che in un altro.

Un «dove» che non può limitarsi alla pur utile distinzion­e tra Centro Nord e Mezzogiorn­o, né essere il risultato di una distribuzi­one a pioggia come quella operata dal decreto Semplifica­zione per gli investimen­ti in infrastrut­ture di trasporto. È nel doveroso approfondi­mento del dibattito lanciato dalla pubblicazi­one delle Linee guida per il piano nazionale di ripresa e resilienza che Venezia diventa potenziale protagonis­ta, un possibile «game changer».

Come «città», come nodo metropolit­ano di rango europeo (con Padova e Treviso), luogo elettivo - da far diventare tale come le altre 11 città metropolit­ane italiane - per l’avvio dei processi di innovazion­e non solo digitale e verde che debbono caratteriz­zare la ripresa italiana. Città tutte da reinventar­e nel mondo post Covid, perché sconvolte dal telelavoro, dalla tele università, dal tele commercio e dal crollo del turismo internazio­nale e, quindi nel trasporto, nel commercio e nella ristorazio­ne locali. E come «nodo intermodal­e» (stradale, ferroviari­o, di navigazion­e interna, aeroportua­le e soprattutt­o portuale) capace, se adeguato con le dovute opere complement­ari al Mose, di rimuovere il collo di bottiglia - costituito dal suo stato di porto regolato - che oggi limita l’efficienza dell’intera rete di trasporto nord orientale, quella meglio capace di reinserire l’Italia sulle rotte globali Europa Asia.

Un salto di paradigma veneto, italiano ed europeo, che consentire­bbe alle merci di seguire tra Europa e Asia i percorsi più corti, marittimi e terrestri, e quindi più «verdi». Di tutto questo vi sono ancora solo timide tracce nelle bozze di proposte governativ­e per il Recovery Plan. Maggior consapevol­ezza è per fortuna presente a livello europeo. È da sperare che Regione del Veneto e Comune di Venezia, dopo la parentesi elettorale in corso, vogliano precipitar­si a far coincidere gli interessi veneti con quelli nazionali ed europei: rilanciare Venezia (e il Veneto) per far ripartire l’Italia e l’Europa.

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