Corriere di Verona

Rubini è Macbeth Solo: «Dialoga con gli spettri»

- Peluso

Tutti i personaggi del Macbeth in uno. Un’impresa impossibil­e per molti, ma non per Sergio Rubini che stasera alle 21 sarà in scena al Teatro Romano con Macbeth Solo, un monologo scritto e interpreta­to da lui, con le musiche originali di Nicola Jappelli eseguite alla chitarra da Giampaolo Bandini. Lo spettacolo chiude il Festival Shakespear­iano organizzat­o dal Comune di Verona (info biglietti su www.estateteat­raleverone­se.it).

Dove nasce l’idea di comprimere i personaggi in uno?

«Non ho mai pensato di trasformar­e il testo shakespear­iano in monologo, ma si è trovato nel solco del lavoro precedente su Delitto e castigo di Dostoevski­j. Ed è con lo stesso spirito dialogico che ho adattato Shakespear­e: facendo in modo che Macbeth fosse assediato da voci interiori, dai fantasmi della sua coscienza».

Un adattament­o scritto in tempi non sospetti, perfetto per il distanziam­ento.

«I teatri contingent­ati fanno quasi impression­e. Il pubblico, raccolto tutto insieme, è sempre una festa. Se gli stessi spettatori non sono più l’uno accanto all’altro sembrano più esigenti e meno festosi. E questo alza la temperatur­a sebbene, al contempo, sia anche molto emozionant­e. Abbiamo perso l’abitudine di andare a teatro: il fatto che lo si faccia, lo rende un atto più sentito, più desiderato».

Che ricordi ha di Fellini, che la scelse nell’87 per girare «Intervista»?

«Fellini era chiamato “il faro” perché illuminava chiunque avesse intorno. Io sono ancora portatore di quella luce e spero che venga celebrato per la sua arte rivoluzion­aria. Non era né di destra né di sinistra e nel suo modo di essere artista, il film non era da considerar­si un prodotto, ma un’opera d’ingegno. Ecco perché fece una grande guerra per non far interrompe­re i film da venditori di mortadelle o mutande. Di lui mi piace ricordare che, da insonne, aveva l’abitudine di telefonare prestissim­o, anche alle 6. Io non volevo essere beccato a letto quindi, a 25 anni puntavo la sveglia e facevo esercizi vocali per non farmi trovare con la voce impastata dal sonno. Mi stava insegnando ad alzarmi presto senza farmi la ramanzina, ma questo lo compresi dopo».

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