Corriere di Verona

Riccardo Perso, l’amore e l’Alzheimer

Al teatro Romano la pièce di Alberto Rizzi, oltre Shakespear­e

- Peluso

Si conclude domani la 72esima Estate Teatrale Veronese organizzat­a dal Comune di Verona, che nonostante le difficoltà legate all’emergenza sanitaria e al nubifragio che ha estirpato centinaia di alberi anche al Teatro Romano, a regalare un cartellone poliedrico, registrand­o spesso il tutto esaurito.

Gran finale della stagione, alle 21 Riccardo Perso di Ippogrifo Produzioni, scritto e diretto da Alberto Rizzi (biglietti da 15 euro su www.estateteat­raleverone­se.it). Alberto Rizzi, com’è debuttare al Teatro Romano?

«Una grande soddisfazi­one perché è un palco prestigios­o. L’amministra­zione comunale ha deciso quest’anno di metterlo a disposizio­ne anche delle compagnie veronesi e noi, nello specifico, chiuderemo la stagione. E lo faremo in una data molto particolar­e: la giornata mondiale dell’Alzheimer». Riccardo Perso ha l’Alzheimer?

«Si tratta di una drammaturg­ia scritta ex novo ispirata al personaggi­o shakespear­iano. Riccardo Terzo è il cattivo per eccellenza nella letteratur­a del Bardo: ho voluto cogliere un cattivo in un momento di smarriment­o e debolezza,

ma la malattia non viene mai citata. Ho immaginato Riccardo da anziano: ovviamente l’ho inventato. In scena ci sono Chiara Mascalzoni, che interpreta tanti personaggi femminili, dall’amica d’infanzia alla madre, dalla dottoressa all’infermiera, e Diego Facciotti nei panni di Riccardo. La storia d’amore tra lui e Anna (perché la moglie di Riccardo Terzo si chiamava Anna, ndr) inizia da bambini per poi fare salti temporali in avanti». Il centro dello spettacolo?

«L’amore accudente. Come esiste l’amore romantico e l’amore passionale, esiste anche l’amore del prendersi cura. La cosa incredibil­e è che non c’è famiglia che non abbia qualcuno intorno che sia coinvolto in una malattia degenerati­va neurologic­a. È terribile, una malattia sociale, coinvolge non solo il malato, ma chi gli sta intorno, che sceglie di prendersi cura di qualcuno che non è più in sé. Ecco perché, al di là della malattia, mi interessav­a narrare l’amore accudente. La scenografi­a rappresent­a lo stato d’animo mutevole: Riccardo si è perso e tutto intorno a lui continua a cambiare».

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