Ventuno classi in quarantena E le «bolle» che non funzionano
A Treviso la protezione civile per i capolinea dei mezzi, bilancio in chiaroscuro per trasporti e peccato originale delle supplenze
questi poveri dirigenti scolastici abbiano lavorato tutta l’estate – ragiona Sandra Biolo, Cisl scuola - ma mancavano i banchi, mancavano una dotazione adeguata di mascherine ma devo dire che è andata molto meglio di quanto mi aspettassi. Eppure la scuola sta andando a ranghi ridotti o ridottissimi. Perché? Perché tanto per cambiare mancano i professori. A fronte di uno sforzo immane, possibile che ci siano sempre ritardi dovuti al ministero sulle nomine? Si andrà avanti così fino a fine ottobre».
Biolo parla di «dirigenti disperati», di un istituto comprensivo con 14 classi e appena 10 docenti contro gli almeno 50 necessari. «Le scuole stanno facendo miracoli c’erano 130 mila posti da coprire tra sostegno e docenze classiche e ne sono stati coperti una minima parte». Le cattedre vuote sono all’origine di orari scolastici balzani, uscite anticipate e impossibilità a comunicare in tempo utile alle aziende di trasporto pubblico le necessarie corse di rinforzo all’orario giusto.
Si torna, così, al domino di cui sopra con gli assembramenti in attesa della «corriera». Carmela Palumbo, direttrice dell’Ufficio scolastico regionale al lavoro notte e giorno per chiudere la partita delle nomine conferma: «È una catena di disorganizzazione purtroppo. Tutto parte dalle cattedre, conto si chiugarantire la regolarità degli esami, che sono stati gestiti con le modalità del collegamento a distanza anche per la sessione estiva. Lo sviluppo tecnologico e informatico ha dunque consentito ciò che altrimenti sarebbe stato impossibile. Anche soltanto pochi anni addietro, infatti, una situazione simile avrebbe determinato il blocco totale della attività universitarie, condannando così gli studenti a subire un notevole dilatamento dei tempi necessari al completamento del proprio percorso di studi. Non sembra inutile interrogarsi, peraltro, sull’efficacia di questa modalità d’insegnamento. Tanto più che sull’innovazione didattica l’Ateneo sta investendo da tempo, attraverso vari progetti. La lezione universitaria è qualcosa di complesso. Non si esaurisce certo nel comunicare un insieme di nozioni, scadendo a mera ricognizione, più o meno dettagliata, delle conoscenze acquisite rispetto ad un determinato argomento. Ma neanche può rinserrarsi in un linguaggio criptico e magari autoreferenziale, con il risultato di proporre significati che rischiano di rimanere inaccessibili agli studenti. È una questione di equilibrio. Ma un equilibrio - ed è questo il dano a metà settimana prossima. Si procede a ondate, venerdì 600 nomine a Treviso che sta usando in via sperimentale una piattaforma molto avanzata che il prossimo anno potremmo estendere a tutte le sedi provinciali».
Gli orari, intanto, continuano a cambiare mandando in tilt il coordinamento con le aziende di trasporto pubblico locale (Tpl). Imbufalito il veronese Massimo Bettarello, presidente di Confservizi che riunisce buona parte del Tpl veneto: «Si moltiplicano post e foto sui social di mamme che accusano Avm e gli autisti di favorire il contagio non vigilando sulla capienza dell’80% dei bus. Peccato che il superamento sia stato, la scorsa settivenete punto - da ricercare di volta in volta, nel confronto e nell’interazione con gli studenti. Spetta al professore sollecitarne lo spirito critico, gradatamente disvelando le complessità anche più recondite e inaspettate degli argomenti trattati. La lezione universitaria, in questo senso, deve saper sorprendere. E non può avere come obiettivo quello di presentare un quadro monolitico della materia, non increspato da alcuna venatura di dubbio. Una lezione universitaria «conformista», tesa a nascondere i profili problematici del discorso anziché farli emergere in tutta la loro portata, non serve a nessuno. Significativa è la tradizione degli studi giuridici nell’Università di Padova, che conosce il metodo della discussione dei casi pratici, soprattutto nei corsi delle materie privatistiche. Lo studente è così chiamato a ragionare sulle dinamiche più profonde del diritto, esaminando, con l’occhio del clinico, le situazioni concrete e applicando le norme o i principi giuridici più adatti a regolarle. Ma non è solo questo. La lezione universitaria è anche empatia, relazione, contatto. Non un soliloquio piatto e monotono, ma una continua interlocuzione che richiede la
«Abbiamo da attraversare ancora un periodo lungo di fatiche per tornare una “nuova normalità” per assumere diversi comportamenti collettivi».
Per ora i comportamenti collettivi sono gli assembramenti dopo scuola...
«Questi ragazzi sono in gamba, invece. Già così si stanno comportando molto bene. Che poi, siamo onesti, faccio fatica io a resistere, che si incontrino, si avvicinino sarà un dato di cui tener conto».
Capannelli inevitabili data l’età?
«I ragazzi hanno la testa sulle spalle. Poi però, appunto, sono ragazzi. Credo valga la pena di ricordare come eravamo noi. Dai 14 ai 18 sono gli anni più difficili di una vita. Le critiche sono sempre le stesse da parte degli adulti: “di che si lamentano? hanno tutto”. Ma questo non significa nulla, al massimo una situazione di necessità nasconde il disagio che è comune a tutti, è quello della trasformazione di un corpo, della psiche, della sessualità».
Si è parlato troppo di banchi con le rotelle e troppo poco di ricadute sugli adolescenti?
«Dobbiamo aiutarli, non gettar loro la croce addosso quando ci fa comodo. Finiscono per essere disgustati non dalla loro vita ma del racconto che la società propina. Veniamo al mondo nel “mondo di altri” e dobbiamo costruirne uno di nostro, il passaggio ora è quello. E affrontarlo in questa contingenza non è semplice».
Se la scuola dovesse richiudere?
«Non deve assolutamente capitare. Il danno psichico e culturale lo si pagherebbe per decenni». partecipazione attiva degli studenti, il loro coinvolgimento nel discorso attraverso domande e sollecitazioni. Il professore, infatti, deve saper trasmettere uno stile, un metodo, una passione. Può far «passare» tutto questo in un video, un software, una piattaforma? È un bel tema! Certo, anche in questo caso ci si vede, ci si parla, si possono scambiare domande e risposte, si possono far girare lucidi, immagini e così via. La lezione a distanza, tuttavia, rende meno immediato e spontaneo il rapporto con gli studenti. Essa frappone uno «schermo», letteralmente, che tende a spersonalizzare quel rapporto. Ti avvicina e contemporaneamente ti allontana, di fatto aggiungendo una qualche difficoltà comunicativa. Ma la sfida per il futuro sembra poter consistere proprio in questo: nell’individuare, cioè, metodi didattici innovativi che, facendo leva sulle sempre più avanzate frontiere aperte dallo sviluppo tecnologico, sappiano elevare la qualità dell’insegnamento per via telematica, rendendolo non meno «performante» della classica lezione «in presenza».