Venezia, l’exit poll spinge Brugnaro
L’exit poll Rai assegna sindaco uscente Brugnaro una percentuale tra il 49,5 e il 53,5%. Una forchetta che non chiude ancora la partita
«Il dato politico è che la partita è ancora aperta», dice Pier Paolo Baretta. Almeno per una notte, fino a questa mattina, quando cominceranno ad arrivare i primi risultati veri. L’exit poll del Consorzio Opinio Italia per Rai (con una copertura dell’80 per cento) a urne appena chiuse, infatti lascia un filo di speranza al candidato del centrosinistra vedendo il sindaco uscente compreso tra il 49,5 e il 53,5 per cento. Una forchetta piuttosto vasta che non chiude ancora la partita per Ca’ Farsetti. Luigi Brugnaro sembra lontano dai numeri di cui veniva accreditato dai sondaggi anche degli ultimi giorni (5458), ma anche Baretta sembra lontano dallo sfidante, avendo venti lunghezze di svantaggio (29,5 - 33,5). In mezzo ci sono tutti gli altri, soprattutto le liste civiche (considerando che anche il Movimento Cinque stelle non brilla e torna ai numeri di dieci anni fa 2,5-4,5). Ecco che la parola d’ordine per tutti è cautela. «In questi anni ho visto molti risultati modificarsi, meglio aspettare i voti veri», dice il commissario provinciale della Lega Andrea Tomaello.
L’unico a sbilanciarsi, e a cominciare a cantare vittoria, è il candidato di Terra e Acqua 2020 Marco Gasparinetti, leader del Gruppo 25 aprile, dato dall’exit poll tra il 3,5 e il 5,5 per cento, verso exploit di giornata. «Festeggiare sarebbe prematuro. Prendo comunque atto con soddisfazione delle proiezioni che mi vedono al terzo posto fra i nove candidati sindaco, pur avendo avuto soltanto due mesi e due giorni di tempo per far conoscere la mia candidatura, annunciata il 16 luglio — dice
— Il segnale è forte, c’è voglia di cambiare musica, e lo si può fare solo cambiando sindaco». Non commenta il Movimento cinque stelle (dato al quarto posto), evita dichiarazioni Stefano Zecchi (candidato del Partito dei Veneti) sparito dai radar degli exit poll (nonostante i sondaggi lo dessero outsider principale), così come Giovanni Andrea
Martini, staccatosi un anno fa dal Partito democratico, per una corsa solitaria, secondo gli instant poll, senza meta. «Ma la cosa importante era tenere Brugnaro al di sotto del 50 per cento, se ci siamo riusciti noi abbiamo una parte di merito, altrimenti la colpa non è certo solo nostra. Ora la preoccupazione è che quel 49,5 per cento possa crescere andando oltre il “quorum” previsto», commenta.
I dati delle elezioni regionali in comune di Venezia, in serata, qualche dubbio in più l’hanno aggiunto. Il centrodestra unito (con due terzi di voti ottenuti però dalla lista Zaia) ha superato il 60 per cento, facendo tendere la forchetta dell’exit poll Rai del sindaco uscente, più verso la parte alta (vittoria al primo turno), che a quella bassa (ballottaggio), «ma le variabili sono ancora troppe», sottolinea Tomaello. Da una parte infatti c’è la lista Zaia che non assicura tutto il passaggio di voti al centrodestra veneziano («Ma tutti i candidati sono leghisti», precisa il commissario provinciale del Carroccio), dall’altra c’è la lista Brugnaro che non compare nelle regionali, e che non rende sovrapponibili i risultati. «Abbiamo fatto un grandissimo lavoro, che ci ha permesso di incidere e incrinare la certezza di vittoria assoluta e dominio che era presente in città — ha commentato ieri pomeriggio Pier Paolo Baretta — Tanto più a fronte di un voto regionale che vede la Lega di Zaia dominare e che nell’alleanza con Brugnaro ha messo l’ipoteca anche su Venezia. È un segnale importante che apre una stagione nuova per la politica veneziana. Anche se con uno scarto di mezzi e risorse evidente, ricostruendo una coalizione progressista, civica e riformista nella città di Venezia, abbiamo dato una risposta forte e concreta».
Rispetto a cinque anni fa hanno votato il 2,5 per cento in più (62,34 contro il 59,78 del 2015), forse per la presenza del voto referendario sulla riduzione dei parlamentari, forse perché i due schieramenti principali hanno mobilitato maggiormente i simpatizzanti, o forse ancora perché la presenza civica ha coinvolto quei cittadini che altrimenti non avrebbero partecipato al voto. A vedere i numeri (medi) dell’exit poll infatti il 13 per cento delle preferenze è andato ai sei candidati minori, ben oltre la media delle ultime tre elezioni comunali in cui le coalizioni principali (e i Cinque stelle nel 2010 e nel 2015) avevano fatto la parte del leone ottenendo nel complesso tra il 90 e il 95 per cento dei consensi. Marco Gasparinetti e la sua Terra e Acqua ad esempio oltre allo zoccolo duro del Gruppo 25 Aprile evidentemente è riuscito ad ottenere l’appoggio di chi, a novembre, si era schierato sia in centro storico che in terraferma — come il leader dell’associazione — per la separazione di Venezia e Mestre, poi naufragata sotto i colpi dell’astensione (hanno votato poco più di un quinto dei cittadini), più di quanto avrebbe fatto Stefano Zecchi appoggiato dal partito dei Veneti (fermo sotto l’uno per cento alla Regionali nel comune di Venezia) e dal primo firmatario della proposta referendaria Marco Sitran.
Il sottosegretario Partita ancora aperta. Abbiamo incrinato la certezza del successo assoluto che c’era in città