Lorenzoni deluso attacca: effetto Covid
Il professore promette battaglia all’opposizione, i grandi leader che lo hanno scelto glissano e guardano alla «vittoria» nazionale
Una campagna condizionata dalla visibilità di Zaia nell’emergenza Covid». Lorenzoni commenta il crollo.
Uffici e sala riunioni vuoti, un televisore sintonizzato sulle tribune elettorali e tutt’attorno il silenzio tombale. Ieri alla sede regionale del Pd, in via Beato Pellegrino a Padova, non è arrivato nessuno. Non i militanti di base, non i segretari di sezione. Quelli che di solito affollano la sede per la maratona dello spoglio delle schede. Un po’ complice il Covid con l’obbligo di distanziamento, un po’ la sconfitta largamente annunciata. Ma anche un po’ perché, questa volta, i vertici veneti del partito erano a Roma, a festeggiare. Che sì nella nostra regione, i risultati sono stati «peggiori del previsto», dicono tutti - a denti stretti in casa dem, ma ieri in realtà «il Pd (a livello nazionale,
ndr) ha vinto il braccio di ferro con il centrodestra contro l’arroganza di Matteo Salvini: il segretario della Lega ha perso anche questa scommessa». Lo dice il sottosegretario dell’Interno Achille Variati, ex sindaco di Vicenza. E lo rimarca un altro sottosegretario veneto, il veneziano Andrea Martella (alla Presidenza del consiglio dei ministri): «Il dato nazionale è che i risultati del Pd sono davvero buoni». La vittoria, non scontata, in Toscana e Puglia e quella già certa in Campania eclissano, se visto da Roma, il circa meno 3 per cento sul 2015 che i democratici hanno ottenuto in Veneto e i quasi 8 punti persi dal candidato del centrosinistra Arturo Lorenzoni rispetto ad Alessandra Moretti, in corsa contro Zaia cinque anni fa.
«Come commento le elezioni? In bulgaro o in italiano?», ironizza Lorenzoni la cui lista Il Veneto che vogliamo ha di poco superato il 2 per cento (ma a Padova, la città dove era vicesindaco ha superato il 4,23). «La campagna elettorale è stata condizionata dall’emergenza sanitaria continua - Ha pesato la presenza quotidiana in televisione di Zaia: io rimango convinto che il nostro sia un buon progetto, non siamo di fronte a un punto di arrivo ma di partenza: avrei preferito partissimo con una percentuale diversa». Nella delusione per i risultati elettorali, ieri, una buona notizia: il tampone di Lorenzoni ha avuto esito negativo. «Ora speriamo lo sia anche il secondo, mercoledì», conclude.
Intanto, da Roma, Variati già tende la mano a Zaia: «Noi (governo, ndr) siamo per la massima collaborazione», annuncia. Il plebiscito di voti ottenuto dal presidente, al terzo mandato, fa dire al sottosegretario che ieri «è nato un leader nazionale». Checché Zaia lo voglia o meno (anche dopo il trionfo ha dichiarato di non essere interessato a ruoli romani), per Variati: «Il quadro politico ora cambierà e Salvini ne deve tenere conto». Della sconfitta del suo schieramento, l’ex sindaco berico, non fa cenno. Eppure, sempre dalla capitale, fa notare l’onorevole dem Nicola Pellicani: «Bisogna avviare una profonda riflessione sulle politiche svolte fino ad oggi. I numeri parlano chiaro - dice dimostrano come gli elettori veneti non abbiano neppure percepito l’esistenza di una vera alternativa a Zaia, e ciò rende la sconfitta ancora più pesante. Non ci sono scorciatoie, il partito va completamente rifondato, uscendo da logiche correntizie che hanno finito per indebolirlo e va messa in campo al più presto una nuova classe dirigente in grado di mettersi in connessione con i veneti: davanti a noi abbiamo da intraprendere la traversata del deserto». Ed è quanto pensa Stefano Fracasso, ex capogruppo del Pd a Palazzo Ferro Fini che avrebbe volentieri tentato la corsa contro Zaia al posto di
Lorenzoni, non trovando tuttavia l’appoggio in seno al partito. «Quando si fanno scelte a tavolino e non si apre magari con le primarie... commenta - certo, poi c’è stato il Covid, ma c’è un tema di posizionamento: ci si illude di rincorrere le sardine quando in Veneto la società civile è dentro i capannoni ed è con loro che va aperto il dialogo».
La candidatura di Lorenzoni nasce dalla suggestione lanciata dal segretario nazionale Luca Zingaretti di aprire il partito al civismo: erano i giorni del boom delle sardine, dell’imminente vittoria in Emilia Romagna di Stefano Bonaccini e del Covid nessuno si immaginava l’arrivo. In ogni caso, a mesi di distanza, chi ha spinto per questa candidatura continua a difenderla. «Lorenzoni era la scelta migliore che potessimo fare in epoca pre-Covid per la sua caratterizzazione civica e apertura verso l’esterno - dice Martella - poi c’è stata la pandemia. L’esito in Veneto è netto ed indiscutibile, un dato (la vittoria di Zaia, ndr) che assumerà rilevanza nazionale, la sua lista triplica la Lega: la campagna elettorale è stata caratterizzata dal coronavirus». Con il presidente del Veneto sotto i riflettori e lo sfidante, negli ultimi quindici giorni, positivo al virus. «Nella nostra regione il problema è antico - aggiunge Martella serve un progetto di lungo periodo per farci trovare maggiormente strutturati». Detto questo, «non dimentichiamoci che oggi il Partito democratico è il primo partito in Italia». Come dire, di fronte alla sconfitta del Veneto, su cui in casa dem si nutrivano poche speranze, non resta che gioire del risultato nazionale.