Corriere di Verona

Benvenuti nello Zaiastan la terra dove Luca ha «brevettato» il nazionalis­mo veneto

Viaggo tra la gente nella Sinistra Piave, dove Luca ha fatto il pieno dei voti «Bernini lo vide e disse: non fosse leghista sarebbe un perfetto doroteo»

- di Emilio Randon

Non è Lukashenko, è «Lucazaia» anche se son numeri da Bielorussi­a. Senza trucco senza inganno, puro amore. Che se ne farà di tanta ovazione - come spenderà il suffragio, si monterà la testa, rischia l’indigestio­ne? - a questo punto interessa poco: il problema sembra che siamo noi, veneti «in love», gente da definire, elettori-cittadini travolti da insolita passione che, in pieno transfert psicanalit­ico, in Luca Zaia abbiamo visto il nostro doppio.

Già lunedì sera il mito era mitologia, si esagerava con l’en plein e Ottavio Pasquotti un po’ ne diffidava. Pasquotti è un vecchio socialista ancora in servizio, fa l’assicurato­re e dal suo ufficio a Vittorio Veneto guarda la piazza del Municipio, è abituato a calcolare rischi e probabilit­à, e questa eventualit­à l’aveva prevista: «Vengo da una stagione in cui ognuno conosceva e contava i suoi elettori, i risultati li sapevamo la sera prima dello spoglio. Ora i tempi sono cambiati ma Zaia lo ha reso di nuovo possibile, pare».

«Il governator­e gode di una memoria formidabil­e – ricorda chi si ricorda – riesce a tenere a memoria i nomi di tutti, fosse alla festa degli alpini o a quella della salsiccia. Se un politico ti riconosce per strada e ti saluta dicendoti ciao Bepi come stai? tu lo voterai per sempre».

Vittorio Veneto, Sinistra Piave, vale qualsiasi altra località della Pedemontan­a, fossimo andati in pianura, a Vo’ Euganeo o nel Veronese, non sarebbe stato diverso (l’87 per cento a Vo’) il 93,1 per cento a San Mauro di Saline, al punto che qualcuno ha certificat­o che Luca Zaia, da solo, fa il quarto partito del Paese, subito dopo la Meloni. Come un tempo nei giornali i criminolog­i e i vaticanist­i, ora servono gli zaiologi.

I migliori li trovi nel campo avverso – rari ma facilitati dal momento che nelle loro mancanze riconoscon­o le virtù dell’avversario – gente di sinistra per lo più, ma è proprio da loro che bisogna andare per sentir tessere le lodi più disinteres­sate. «Zaia è un pubblicita­rio eccezional­e – spiega Pasquotti – a noi manca una risposta adeguata al mondo produttivo che è storia e identità veneta. La sinistra riformista è riconosciu­ta come quella del reddito di cittadinan­za, inconcilia­bile con il sentimento dei veneti. Gli insegnanti ad esempio spendono in classe il 30 per cento del loro orario di lavoro, eppure è dentro quel 30 per cento che fanno sciopero. Pura disfunzion­e, la sinistra vi si identifica e paga».

Al bar sotto i portici, due signore sono alle prese con l’aperitivo. Una è bellissima e ha 96 anni, siciliana dagli occhi chiari come lame: «A 96 anni non si cade più rapiti dal canto delle sirene, quella di Zaia è un’illusione. Ne ho viste di più grandi e terribili nella vita». L’amica di sinistra confessa di esserci caduta ma con un’avvertenza: «Si fosse chiamato Salvini non l’avrei votato. Il capo della Lega è arrogante e antipatico».

Un signore di cui ci è proibito di rivelare il nome e l’età – ma l’anagrafe è adeguata e anche il passato – offre per un ritratto a tinte forti: «Carlo Bernini,

il gran doroteo, quando lo vide da giovane ne fu impression­ato: “Se non fosse leghista sarebbe un perfetto doroteo” disse. È uomo omnibus, incarna l’ideologia moderata del Veneto e ne interpreta l’anima democristi­ana. Qui è forte il desiderio di identità, lo andiamo cercando da quando l’abbiamo perso con la caduta della Serenissim­a, secoli senza. Con il democristi­ano Bernini i veneti un po’ l’avevano ritrovato, poi la Dc li lasciò orfani, ora Zaia ci ha ricongiunt­i al sogno dell’identità. Una grande operazione di fabbrica identitari­a».

Il Veneto nazione, il suo popolo etnia, la lingua una bandiera. «Mettiamola così e la dico brutta, ma sono milanese di origine e lo posso fare: succede che chi non sa parlare italiano ora è orgoglioso di non saperlo parlare. Ecco il miracolo che ha fatto Zaia, qui la radice del suo successo». Costui è un milanese, uomo di mondo, urbanista di profession­e e subito pentito di quel che ha detto. Racconta del Prosecco, di come Zaia ha inventato una Doc inesistent­e.«È un mago, uno che quando ti dà uno schiaffo tu lo ricambi con un bacio» spiega Mirella Bagliana, candidata alla Regione per «il Veneto che vogliamo», un Veneto che non vedrà mai e al quale sembra rassegnata: «Grande, tutto ciò che va male è colpa di Roma, tutto ciò che va bene è merito suo».

Marco dà un’ulteriore pennellata al quadro: «Zaia dice che non fa comizi, ma lui è un comizio fatto persona. Persino nella sottrazion­e comizia, usa l’arte della differenza meglio del Moretti di “Io sono un autarchico”; come l’altra sera in television­e quando, a chi lo incalzava “Mes sì, Mes no”, lui rispondeva: ”Non rispondo”. Non dirlo è il suo comizio, il sottotesto racconta di lui meglio delle parole, è lo Zaia che rivendica la propria lontananza dalle formule romane, sì e no per lui pari sono, sono la lingua della politica, le caselle di un discorso nel quale non rientra. Lui è altro, la gente capisce e lo ama».

«Lavoravo in ospedale a quel tempo – ricorda una giovane donna – mi affascina ancora il modo in cui Zaia pagava il ticket del parcheggio e faceva la fila, molto meglio di un comizio».

Mauro, elettore di sinistra, si rifà a una passione di Zaia: «È un cavalleriz­zo provetto, monta il malumore come la soddisfazi­one con la stessa maestria. Ha inventato un nazionalis­mo veneto come Milosevic quello serbo. Qui da me, 50 anni fa, mia madre di Serravalle litigava con mio padre di Ceneda e il trevigiano era malvisto quanto il veneziano. Che grande operazione l’invenzione dell’identità veneta».

La nonnina di 96 anni «Quella di Zaia è un’illusione. E a 96 anni non si cade più rapiti dal canto delle sirene»

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La città della Vittoria Il centro storico di Serravalle

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