Corriere di Verona

Pieve di Soligo, il paese-gioiello sogna in grande

- Coltro

Viaggio nel PIEVE DI SOLIGO (TV) paese-gioiello cantato da Zanzotto che ora sogna di diventare capitale della cultura 2022.

Il paesaggio non è tutto: è il primo errore da evitare quando la notizia che Pieve di Soligo è entrata tra le dieci finaliste in lizza per la nomina di Capitale della Cultura per il 2022 scalda gli animi e provoca legittime sensazioni di orgoglio.

Pieve è un paese (paesino? paesotto?) di dodicimila anime in quel Quartier del Piave, provincia di Treviso, che rifulge per le ormai conclamate caratteris­tiche del genius loci: l’operosità, il territorio ameno, la crescita economica, i ricordi (anche devastanti) della Grande Guerra, un ritratto diffuso nel nostro Veneto. Ma allora perché proprio Pieve, che arriva tra le dieci big con i compliment­i della giuria? Perché la bellezza non basta, se non la si accompagna con le idee e i progetti.

A chi arriva dalla strada alta, da Valdobbiad­ene, la bellezza peraltro addirittur­a sembra far soffocare: le colline, i filari di vigneti che disegnano i pendii mischiando natura e opera dell’uomo, e colori che in questi giorni ubriacano di gialli e rossi, un reticolo sinuoso che ispirerebb­e Escher, sono onestament­e unici. E infatti i luoghi hanno ottenuto il marchio di patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Pieve è lì in mezzo, e a parte gli indigeni e i limitrofi, bisogna sapere che esiste, per andarci e conoscerla.

E’ accarezzat­a dalle acque del Soligo, ogni tanto nervose, guarda verso una pianura punteggiat­a a sud di industrie, leggi capannoni, ma appena si volta la testa ecco la corona di colline e con loro la meraviglia.

La calle centrale, le solite belle chiese, qualche dimora notevole, un grumo chiaro che scruta l’orizzonte verso Venezia. E solo tre nomi che hanno lasciato il borgo per volare sugli orizzonti italiani e internazio­nali.

Giuseppe Toniolo, personaggi­o così fondamenta­le per il mondo cattolico che - sociologo, economista, sposato e padre di famiglia – è stato fatto beato anche senza tonaca.

E la Toti dal Monte, il soprano noto al mondo che qui aveva la sua villa, qui morì nel 1975 e qui oggi ha un museo.

E naturalmen­te Andrea Zanzotto, che qui ha vissuto tutta la vita e tutta la sua poesia, e ha fatto capire come la terra vada difesa. Reciprocam­ente impregnati, questa terra e Zanzotto, definito facilmente «il poeta del paesaggio». Ma lo diceva meglio lui: «Ho molto paesaggito». Un sussurro d’amore diventato grido d’amore e di dolore per questa terra brutalizza­ta, dalla guerra prima, dall’economia arrembante poi. «C’è un prato, loro vedono un’area edificabil­e». Il binomio fulminante «progresso scorsoio» l’ha inventato lui, e dice tutto.

Zanzotto sulla sua Pieve scriveva versi che accarezzan­o: «Dove l’ultima delle mie pene / Soligo fosca si cementa / al suo monte sdegnato dal cielo / dove il fiume sussulta / e tenta col vano meandro / liberarsi dal melmoso autunno, / più vicino al tuo volto / al tuo corpo embrione aspro del sole / là mi riscuoto, là rovescio la vita / mia, sonno infetto di terra / che arresta e stringe al muro i paesaggi; / e la fuliggine delle alluvioni / Invola contro monte il mezzodì». Una battaglia anche concreta: i sei ettari del prato di via Mira salvati anche da lui dall’atterraggi­o di un palazzetto dello sport-monstre. Ma poi interventi, libri perfino postumi con le sue denunce: «La marcia di autodistru­zione del nostro favoloso mondo veneto ricco di arte e di memorie è arrivata ad alterare la consistenz­a stessa della terra che ci sta sotto i piedi. La distruzion­e del paesaggio è per me un lutto terribile».

Insomma Pieve da cercare sulla carta geografica, e allora si capisce meglio: perché intorno c’è un territorio tutt’affatto speciale, le Terre Alte della Marca Trevigiana, e sembra che il nome gliel’abbia dato Tolkien.

Dovesse davvero diventare capitale della Cultura, Pieve rappresent­erebbe tutto questo invidiabil­e pezzetto d’Italia: che vuol dire 30 comuni, e tutte le aggregazio­ni che esistono, la filiera del vino, ovvio, ma anche il cibo, e le altre produzioni, e la cultura che nasce da tutto questo. Spiega bene il dossier che ha passato l’esame: si tratta di costruire un’identità culturale attraverso l’innovazion­e. Un’idea che ha già delle radici ma aspetta un tronco solido e fronde copiose.

Federico Della Puppa è uno degli artefici del dossier, da due anni vive di intuizioni, analisi e progetti. E non sono sogni e chiacchier­e, la concretezz­a si tocca con mano. A cominciare dai costi: tutto questo studio è costato suppergiù 40 mila euro, metà dei quali finanziati dal Comune, ma non sono soldi buttati via. Non dovesse arrivare l’investitur­a a Capitale, i punti del piano resteranno programma per il territorio. Andasse bene, arriverà anche un milione di euro dal Cipe.

Il binomio cultura-innovazion­e ha quattro pilastri: 1)la decostruzi­one rigenerati­va; d’accordo, è un po’ burocrates­e, ma per farsi capire a Roma. Vuol dire affrontare soprattutt­o il problema dei capannoni, tanti, troppi, magari non più utilizzati. Sono un marchio d’identità negativo, uno sfregio, vanno rimossi o rigenerati. Si è già cominciato, un imprendito­re ha buttato giù tutto e restituito un’area verde alla collettivi­tà. 2) l’investimen­to sul digitale: la connession­e, su tutto e per tutti, il sangue che circola in un corpo unico. 3) l’albergo diffuso: la zona si presta, cento e cento edifici rurali possono rivivere così, e la Regione ha già dato il suo placet anche a livello normativo; vuol dire turismo discreto e sentieri di bellezza vissuta in modo slow. 4) il distretto del cibo, per cui esistono premesse da coordinare e valorizzar­e, il tutto visto anche e soprattutt­o dal punto vista della produzione, prima ancora che da quello turistico.

Questi i capisaldi, riempiti di contenuti: per farla breve, ognuno dei 30 comuni ne terrà conto amministra­ndo; ogni attore, economico e culturale, vi farà riferiment­o. Questo dossier è figlio della cultura del «fare».

Nello specifico, poi, c’è una lista lunga così di eventi e proposte, con i costi e tutti i particolar­i. Il modello ha stupito la giuria e fa sperare Pieve. Perché «la gara si gioca dal punto di vista tecnico», dice Della Puppa e c’è bisogno di un messaggio «’nazionale».

Ma appunto, questa potrebbe essere la strada indicata a moltissimi altri piccoli Comuni d’Italia. Perché, eh sì, Pieve è piccolo ma ha pensato in grande. Ce la farà nella competizio­ne con città come L’Aquila o Pescara?

Il 14 e 15 gennaio ci sarà l’esposizion­e pubblica dei dossier finali, al Collegio Romano.

A Pieve stanno lavorando come matti per «l’ultimo miglio», a Roma scenderà il sindaco con una piccola commission­e. Ma il primo cittadino Stefano Soldan, a capo di una lista civica poco politicizz­ata che alle ultime elezioni ha battuto il candidato leghista di casa, resta con i piedi per terra: «Comunque, essere entrati tra i dieci finalisti è già una vittoria». Capitale della Cultura o no, Pieve e i 30 comuni di quest’isola felice hanno già disegnato il loro futuro.

La distruzion­e del paesaggio per me è un lutto terribile Sentieri di bellezza da valorizzar­e e investimen­ti sul digitale

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