Operai morti d’amianto: tutti assolti
Ofv-Galtarossa: l’accusa chiedeva 10 anni. «Sconcerto» tra i familiari delle vittime
Officine ferroviarie veronesi-Fonderie Galtarossa, operai uccisi dall’amianto: in appello, 5 anni dopo, finisce come in primo grado a Verona, senza colpevoli. Ieri infatti i giudici di secondo grado hanno deciso di assolvere tutti gli imputati, dopo che dalla Procura generale erano state chieste 4 condanne.Ma la Corte non è stata dello stesso avviso, tra lo sconcerto delle parti civili che mai in questi anni si sono arrese insistendo a chiedere «verità e giustizia».
Operai uccisi dall’esposizione all’amianto: in appello, 5 anni dopo, finisce esattamente come in primo grado a Verona, senza colpevoli. Ieri, infatti, i giudici lagunari di secondo grado hanno deciso di assolvere tutti gli imputati, dopo che dalla Procura generale erano state chieste 4 condanne.Ma alla fine la Corte non è stata dello stesso avviso e quindi, tra lo sconcerto delle parti civili che mai in questi anni si sono arrese insistendo a chiedere «verità e giustizia», 24 ore fa il processo si è chiuso per la seconda volta senza alcun colpevole. Eppure la Procura generale di Venezia ne era convinta: se quei 5 operai vennero stroncati dall’amianto, qualcuno sbagliò. Ed ecco perché, nella requisitoria, erano state chieste 4 condanne per un totale che superava i 10 anni di reclusione.
Invece, con l’assoluzione di tutti gli imputati, si è chiuso a Venezia un altro capitolo, forse l’ultimo se non ci saranno ulteriori ricorsi in Cassazione, dell’interminabile «saga» processuale per le morti d’amianto registrate tra il 1975 e il 1990 alle Officine Ferroviarie Veronesi e Fonderie Galtarossa. In appello, l’accusa aveva puntato il dito contro 4 persone: un medico, un ex membro del cda, due direttori tecnici. In dettaglio il sostituto procuratore Giuseppe Salvo riteneva penalmente responsabili di omicidio colposo l’ex esponente del cda Zeno Colò Peretti, nei cui confronti era stata chiesta la pena più elevata vale a dire 3 anni e sei mesi, l’ex direttore tecnico Alberto Azzini e il medico Osvaldo Zecchinato che rischiavano la condanna 2 anni e 4 mesi a testa, e il secondo direttore tecnico Giulio Claudio Mazzini, per cui era stata sollecitata una pena pari a 2 anni. Visto il cospicuo lasso di tempo trascorso dai fatti, inutile dire che sono tutti di età avanzata. Nelle sue conclusioni, il sostituto Pg Salvo aveva sottolineato che «sui quadri dirigenziali faceva capo l’obbligo di vigilare sulla correttezza delle lavorazioni, pretendere l’adozione di misure di prevenzione e segnalare il rischio di esposizione all’amianto, interventi, questi, mai concretamente adottati».
Inoltre «sull’ulteriore versante della colpa risultano provate le condotte oggetto di imputazione, in particolare -
l’accusa - è emersa la mancata adozione di idonei impianti di aspirazione e la lacunosità dei dispositivi individuali di protezione». Sul luogo di lavoro «venivano impiegati strumenti del tutto rudimentali, come mascherine leggere, di cui, peraltro, non veniva neppure concretamente preteso l’uso, come pure la massiccia ed indiscriminata contaminazione, mai in alcun modo contrastata, da fibre di amianto tollerata all’interno degli ambienti di lavoro, per concludere con la palese violazione dell’obbligo di informazione nei confronti dei lavoratori». Secondo la Procura, «si tratta di condizioni alla cui estrema criticità si sarebbe potuto e dovuto ovviare ricorrendo a misure di prevenzione quali l’umidificazione del materiale per evitare la formazione di polvere, l’adozione di efficaci sistemi di aspirazione l’uso di valide maschere filtranti, che già all’epoca sarebbero state senz’altro esigibili ed attuabili». Il caso, però, si è chiuso senza colpevoli. Per la seconda, e forse anche ultima, volta.