Le parole del Veneziano
Sito web e collana di volumi: il progetto guidato da Tomasin. Un vocabolario della lingua della Serenissima fra curiosità, riscoperte e storia
Possiamo tirare un piccolo sospiro di sollievo. Forse non è stato il veneziano, inteso come lingua, ad avere «regalato» al mondo il termine più triste del già tristissimo anno 2020. Come, «quarantena» non era una parola nata in Laguna? Non esattamente, secondo il linguista Lorenzo Tomasin e la sua équipe. Che nel nuovissimo VEV, il Vocabolario storico-etimologico del veneziano, consultabile online all’indirizzo vev.ovi.cnr.it, alla voce relativa scrive: «appare verosimile che la pratica dell’isolamento sanitario, per la quale il porto di Venezia e le isole del Lazzaretto furono certo un modello a partire almeno dall’inizio del secolo XV, fosse qui comunemente chiamata contumacia; il termine quarantena, che poteva essere impiegato anche a Venezia, non pare tuttavia qualificabile come un venezianismo». «Quarantena» è solo uno degli oltre cento lemmi che saranno presto disponibili per tutti gli utenti di questo monumentale lavoro in fieri, che il veneziano Tomasin, ordinario di Filologia romanza e di Storia della lingua italiana all’Università di Losanna, componente della giuria del Premio Campiello, ha messo in campo con il linguista della Normale di Pisa Luca D’Onghia, ed un gruppo di redattori che lavoreranno per i prossimi anni «in modo autonomo, liberi da Covid e pandemie perché contribuiamo al progetto ciascuno da casa propria».
Un po’ cenacolo decameroniano e un po’ come gli amanuensi che nei secoli bui salvavano il patrimonio culturale classico nell’isolamento dei propri monasteri, Tomasin e i suoi si innestano su una grande tradizione, praticamente ininterrotta: di vocabolari del veneziano, dal Quattrocento a oggi, esiste una ricca storia. «Siamo nani su spalle di giganti, seguiamo questa tracbiblioteca cia e ci aggiungiamo l’etimologico, con un corpus di testi che abbiamo usato come appoggio», spiega. Il progetto, sviluppato dall’Università di Losanna, dalla Scuola Normale Superiore di Pisa e dall’Istituto Opera del Vocabolario italiano del Cnr di Firenze, è finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca, ed è difficile evitare un po’ di tristezza al pensiero del confronto tra le risorse pubbliche che l’Italia destina ai progetti di cultura e a quanto viene speso mediamente al di là delle Alpi. Soprattutto se si c0nsidera che il Vocabolario sarà accessibile a tutti, a cominciare dai veneziani. «Intendiamo costruire una vera digitale virtuale», spiega Tomasin, che a inizio 2021 pubblicherà con Einaudi Europa romanza. Sette storie linguistiche, libro che continua idealmente Il Caos e l’ordine, uscito nel 2019, e che rappresenta il versante europeo del suo lavoro, in qualche misura complementare a quello locale su Venezia. Quanto al vocabolario veneziano, spiega Tomasin, «alcune centinaia di lemmi stanno andando già online. Li pubblicheremo passo passo. E al progetto affianchiamo libriccini raggruppati per famiglie: uno sulle parolacce, uno sul vocabolario della navigazione (a partire, ovviamente, dal lemma gondola), uno sulla cucina, e così via. Una volta i vocabolari si facevano procedendo per lettere, perché li si pubblicava per fascicoli. Era frustrante. Adesso grazie a internet ci si può sbizzarrire, aggiungendo i lemmi secondo le proprie ricerche». Grazie a Tomasin e ai suoi, scopriamo quindi che pistachio, bagigio, sono venezianismi di origine levantina passati all’italiano grazie alla porta d’Oriente che era la Serenissima, così come zenzero; abbiamo la conferma che fifa, cioè paura, è anch’essa una parola donata da Venezia al resto d’Italia; che petegolo e petegolezzo o petegoesso sono voci veneziane che si sono irradiate all’italiano moderno; e soprattutto che da Venezia proviene forse la parola più usata in assoluto dagli italiani di oggi: «l’irradiazione di ciao dal veneziano all’italiano», spiega il Vocabolario storico-etimologico, «già supposta sulla base di numerosi altri indizi, risulta definitivamente acclarata». Infine, torniamo alle pandemie. Sì, perché il vocabolario non poteva glissare su quell’altra parola. Lazzaretto: che, pur con l’attrazione di Lazzaro, nome del mendicante ricordato nel Vangelo, fu dal 1423 il luogo, Nazareto ovvero l’isola di Santa Maria di Nazareth tra Venezia e il Lido, «scelto per ospitare i malati e in particolare quelli colpiti dalla peste».