Caporalato: ordine d’arresto per i due figli del boss
«Braccianti costretti «a turni massacranti» nelle campagne di mezzo Veneto, marocchini «obbligati a 10-12 ore di lavoro al giorno», sabati e domeniche comprese, «senza riposo», che «ricevevano una paga oraria omnicomprensiva di 5 o 6 euro enumera il gip Luciano Gorra nelle sue 60 pagine di ordinanza -, pari a meno della metà dell’importo dovuto sulla base del contratto collettivo, ammontante a 14,05 euro l’ora, senza vedersi riconosciuto alcun istituto contratra, (ferie, straordinari, indennità di trasferta, tfr), con l’ulteriore grave pregiudizio punta il dito il gip scaligero, che ha ordinato un arresto in carcere e altri 4 ai domiciliari, di cui solo 2 finora eseguiti del mancato versamento dei contributi previdenziali, senza tutela in materia di sicurezza e senza adeguata sorveglianza sanitaria né dispositivi di protezione individuale».
Caporalato nelle aziende agricole delle province di Verona, Vicenza e Padova: lunedì, davanti allo stesso gip Gorsono previsti gli interrogatori dei tre arrestati, a partire dal «boss» dell’organizzazione Said El Maaroufi, residente a Cologna Veneta, 49 anni, marocchino, l’unico in carcere; mentre ai domiciliari si trovano un albanese, Bledar Lala (alias «Leonardo »), 38 anni, e l’unica donna, Gianna Maria Pastorani, nata a Campodoro, nel Padovano, 62 anni, e residente a Vicenza.
A tutti a tre risulta contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento di lavoratori nell’ambito di un’indagine che è stata condotta, tra maggio 2019 e il luglio scorso, dai militari del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Vicenza con la collaborazione dei colleghi di Verona.
Indagati in stato di libertà (l’accusa chiedeva l’obbligo di firma) i 9 titolari delle aziende in cui venivano sfruttati i braccianti: 6 sono veronesi, 2 padovani, uno trentino. Invece è caccia a due dei tre figli di El Maaroufi: destinatari di altrettanti ordini di arresto ai domiciliari, risultano introvabili. Dall’ordinanza, poi, emerge il ruolo-chiave della Pastorani, impiegata in uno studio contabile e già arrestata nel 2018 per truffa all’Inps in materia di immigrazione: la donna, scrive il gip Gorra, «riveste un ruolo particolarmente importante nel sodalizio, che per operare necessitava dell’ausilio di un professionista». A inguaiarla, non solo le «testimonianze dei lavoratori», ma anche «numerose intercettazioni».