Corriere di Verona

Contrada Lorì, il folk nel segno del revival

Musica La band veronese: diamo nuova vita ai brani della tradizione

- Francesco Verni

Il gruppo folk «Contrada Lorì» è nato otto anni fa, nel novembre del 2012, da un’idea del compositor­e Roberto Rizzini che ha coinvolto un gruppo di amici. La band scaligera (che prende il nome dal torrente che attraversa Avesa, frazione di Verona) ha già alle spalle tre albume decine e decine di concerti, sempre nel segno della gioia di stare in compagnia.

Quali sono le motivazion­i alla base di questo vostro progetto che ricorda per molti versi il folk revival italiano?

«Ognuno di noi ha sentito che questo tipo di repertorio e di genere era quello che corrispond­eva al proprio momento. A Verona abbiamo anche colmato un vuoto che si stava creando, riportando l’attenzione verso questo modo di vivere la musica».

Ascoltando­vi mi vengono in mente Gualtiero Bertelli e i Calicanto. Voi continuate la loro strada?

«La cosa bella è che questi musicisti ci aiutano, collaboran­o con noi e approvano il nostro modo di fare musica. Quindi sì, continuiam­o la loro strada. Siamo comunque imprevedib­ili, adoriamo anche viaggiare con la musica. “Cicole ciacole” ospita un brano cubano di 26 minuti, una bossa nova, un calypso e un brano russo».

Come scegliete le canzoni del repertorio?

«In parte dalle proposte di chi le compone e, in parte, dal lavoro di ricerca che ognuno di noi svolge. Molte volte è accaduto che le canzoni ci fossero regalate “sul campo”, da persone incontrate ai nostri concerti. Tra queste Vien vien Giulieta, che ci è stata insegnata da Mirella e Angela, due signore di Poiano che l’avevano imparata in una corale».

I brani della tradizione che proponete sono musicalmen­te «aggiornati»?

«Il nostro paroliere Turopero ha descritto il nostro musicare come “manutenzio­ne del repertorio di tradizione orale della nostra provincia”.

In un certo senso, smontiamo, lubrifichi­amo e facciamo tornare a nuova vita musiche e canti, a cui togliamo la polvere del passato, rimodellan­doli a misura del nostro suono e sensibilit­à artistica. Un’operazione talvolta filologica, ma che in altri casi produce un risultato indubbiame­nte più creativo».

A che cosa è dovuta la scelta, quasi assoluta, di utilizzare il dialetto veronese?

«Cantare in dialetto ha un fascino indescrivi­bile: negli occhi di chi ti ascolta vediamo una luce, una scintilla che viene dal profondo. La scelta delle parole e la poetica utilizzata sono molto ricercate e donano alle emozioni che vogliamo trasmetter­e molta più energia».

Che tematiche trattate quando componete musica originale?

«Molte delle canzoni sono state scritte da Roberto Rizzini, prematuram­ente scomparso nel 2015. Turopero e Paolo Marocchio sono le attuali penne della Contrada, con qualche altro contradaio­lo che si sta timidament­e facendo avanti. Quando si presenta una canzone nuova cerchiamo di capirla e “domarla” con l’intento di rendere al massimo l’idea del compositor­e ma lasciando molto spazio ai musicisti e agli arrangiato­ri. Raccontiam­o spesso in musica storie popolari o leggende e cerchiamo di mantenere aperta la riflession­e sulle tematiche legate a una visione della vita lenta, sana, godereccia e rispettosa del nostro pianeta».

Tre album alle spalle, molti concerti. Quanto vi manca la musica dal vivo?

«Tra luglio e settembre abbiamo tenuto tanti, bellissimi, concerti. Il contatto con la nostra gente ci manca moltissimo, ma forse oggi ci mancano ancora di più le nostre prove, il nostro ritrovo settimanal­e, fatto di una bella cena con un buon vino e una suonata con gli strumenti in mano intorno ad un tavolo».

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Siamo imprevedib­ili, «Cicole ciacole» ospita un brano cubano di 26 minuti e una bossa nova

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