RISPARMIO IL LATO B DEL DEBITO
Nello scorso anno il debito pubblico italiano è aumentato di 160 miliardi che si aggiungono all’ingente massa (circa 1,7 volte il Pil) che verrà trasferita alle generazioni più giovani. Giovanni Belardelli, storico delle Dottrine politiche, sul Corriere di martedì 9 febbraio parla di «rapine generazionali». Anche il risparmio privato è aumentato durante la pandemia di parecchie decine di miliardi che si aggiungono a una massa di circa 2,5 volte il Pil che rende l’ingente debito pubblico più sostenibile. Si tratta di un risparmio che, come ha notato l’economista tedesco Jens Sudekum, ugualmente sarà trasferito alla next generation. Al netto degli anticipi cash che, in molti casi, i «millennials» hanno già ricevuto, o stanno ricevendo, da nonni e genitori. E, a legislazione vigente, senza particolari gravami successori. Il che ridimensiona l‘entità delle «rapine». Come si è formato questo ingente risparmio privato? Alla base c’è la mitica propensione al risparmio degli italiani, alimentata da una certa sobrietà consumistica che nell’attuale congiuntura non è da considerarsi propriamente virtuosa. Un apporto rilevante è venuto da un prodigo sistema di welfare.
Un sistema che continua a favorire le generazioni più anziane a scapito dei giovani, i settori protetti a scapito di quelli più esposti. Ma un ruolo fondamentale lo ha avuto un sistema di tassazione che ha consentito meccanismi di elusione, de non di vera e propria evasione, che hanno impresso a molti risparmi un percorso carsico facendoli ora sparire ora riemergere grazie ai ricorrenti incentivi alla regolarizzazione. Inoltre, il calo della natalità ha accentuato la concentrazione della ricchezza per cui è molto probabile che un certo numero di «millennials» si ritrovi in momentanea difficoltà sul piano reddituale (lavoretti precari, partita iva fittizia e via dicendo) ma in prospettiva un po’ meglio piazzato sul piano patrimoniale. Bisognerà tenere a bada la tentazione dei pubblici poteri di aggredire questi risparmi con un’imposta sui patrimoni e un inasprimento di quella successoria anche se un qualche intervento sarà alla fine inevitabile per correggere gli squilibri nella distribuzione della ricchezza visto che è aumentata anche la povertà. Bisognerà anche disincentivare le classi più giovani a consumare i trasferimenti generazionali (destinati a esaurirsi) e incoraggiarle invece a trasformarli in investimenti produttivi nell’economia reale e soprattutto nelle proprie competenze che richiedono un processo di manutenzione attiva lungo tutta la vita.
Le analisi sul decadimento della classe media, fenomeno rilevato in molti Paesi occidentali, dovrebbero chiarire meglio le peculiarità e le differenze rispetto ad analoghi processi del passato. L’impoverimento delle élite operaie nelle ricorrenti crisi del tessile e del metalmeccanico negli anni Settanta diede luogo a una trasformazione di tipo imprenditoriale delle migliaia di tecnici e capi-reparto espulsi, per esempio nel Nord Est, da Zanussi, Marzotto, Lanerossi, Sanremo, Savio e altri. Gli ammortizzatori sociali non erano allora così solidi e diffusi, gli «esodi» non erano così generosamente supportati e il «mettersi in proprio» costituiva una scelta quasi obbligata. La crisi iniziata nel 2008, e in Italia mai pienamente superata, ha investito non solo il lavoro subordinato ma anche quello autonomo e le professioni ma non ha finora dato luogo come nel passato a una reazione a forte valenza imprenditoriale, anche se le condizioni sono in teoria più favorevoli. Se il capitale umano, sicuramente migliorato e suscettibile di ulteriori affinamenti, si incontrasse con almeno una parte del risparmio accumulato, potrebbe svilupparsi una nuova ondata di imprenditorialità, meno ruspante e più dotata di strumenti tecnici e di relazioni anche internazionali. Non si pensi solo alle start up tecnologiche ma anche a nuove forme di erogazione delle prestazioni lavorative nei settori tradizionali e, in particolare, nei servizi.