Corriere di Verona

Morì a tre mesi nel 2001: caso riaperto

Da vent’anni i genitori cercano giustizia, accolto in extremis il loro ultimo ricorso

- Tedesco

Da vent’anni cercano VERONA giustizia nei tribunali per la loro bimba rimasta in vita appena tre mesi: in primo e in secondo grado di giudizio si erano visti chiudere le porte dai magistrati, invece in extremis la Corte di Cassazione ha accolto adesso l’ultimo possibile ricorso da parte dei genitori della piccola. A sorpresa, infatti, gli Ermellini hanno capovolto le due precedenti sentenze di stampo opposto dando ragione ai ricorrenti e riaprendo il caso.

Da vent’anni cercano giustizia nei tribunali per la loro bimba rimasta in vita appena tre mesi: in primo e in secondo grado di giudizio si erano visti chiudere le porte dai magistrati, invece in extremis la Corte di Cassazione ha accolto adesso l’ultimo possibile ricorso da parte dei genitori della piccola. A sorpresa, infatti, gli Ermellini hanno capovolto le due precedenti sentenze di stampo opposto dando ragione ai ricorrenti e riaprendo il caso. Dovrà dunque celebrarsi un nuovo processo d’appello e verrà riesaminat­a ex novo questa triste vicenda che prende il via il 24 luglio 2001, data in cui un angelo di nome Arianna venne al modo da una coppia veronese al Policlinic­o di Borgo Roma.

Una nascita tra mille complicazi­oni: la piccola purtroppo non stava bene e nonostante la tenerissim­a età dovette essere sottoposta a due interventi chirurgici. Una doppia operazione necessaria ma anche estremamen­te rischiosa. Alla fine, sfortunata­mente, ogni tentativo di salvarla risultò vano e la piccola Arianna si spense il successivo 28 ottobre 2001. Una vita durata un soffio, tre mesi e 4 giorni dopo essere venuta alla luce. Uno strazio immane, per i genitori veroneeven­to

Il dramma Nel 2001 Arianna venne alla luce al Policlinic­o di Borgo Roma il 24 luglio e restò in vita per soli tre mesi. Da allora i genitori chiedono giustizia si che fino all’ultimo sono rimasti vicino alla loro creatura nella speranza di non perderla, con il desiderio di poterla un giorno portare a casa con loro. Ma il destino è stato atroce e insensibil­e, così da allora si battono per vedersi riconoscer­e giustizia. Sostengono che per salvare la piccola non sia stato fatto tutto il possibile, ipotizzano un errore o comunque una negligenza da parte dei sanitari: per questo chiedono di essere risarciti per l’immenso dolore che ha provocato loro il non aver potuto crescere la propria figliolett­a.

Quei due interventi a cui venne sottoposta «a pochi mesi di vita», si legge nella ricostruzi­one delineata dalla Suprema Corte, si erano resi «necessari a causa della artesia congenita delle vie biliari, ovvero della gravissima malformazi­one epatica che affliggeva la bimba dalla nascita». Assistiti dall’avvocatess­a Stefania Katia Migliori, i genitori hanno presentato una «domanda risarcitor­ia nei confronti dell’Azienda Ospedalier­a di Verona in relazione al decesso della loro figlia Arianna» affinché «la stessa fosse condannata a risarcire tutti i danni da essi subiti in ragione della morte della loro bimba, nata il 24 luglio 2001 e deceduta il successivo 28 ottobre, mortale che attribuiva­no ad un’inadeguata assistenza nella fase post-operatoria seguita ad intervento chirurgico dalla stessa subito».

Un’istanza di risarcimen­to a cui tuttavia l’Azienda Ospedalier­a si è sempre opposta sostenendo che il diritto della coppia sarebbe stato azzerato dall’intervenut­a prescrizio­ne: per la coppia veronese però «tale termine decennale, prima dell’instaurazi­one del giudizio, era stato interrotto dalla missiva del 21 ottobre 2011 con cui i ricorrenti avevano richiesto il risarcimen­to del danno giacché “per quanto accertato dal consulente tecnico nel primo grado di giudizio”, la morte della piccola “integra gli estremi dell’omicidio colposo». Un muro contro muro, quello tra Azienda e genitori, che in primo grado a Verona (2016) e in appello a Venezia (2019) ha visto prevalere le ragioni dell’Azienda. Con l’ordinanza numero 21.404 del 26 luglio scorso, due settimane fa, la Cassazione ha però riaperto i giochi, «cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Venezia». Tutto da rifare, quindi, a 20 anni da una perdita che nessuna cifra potrà mai risarcire.

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