ECONOMIA CIRCOLARE IN BANCA
Il caso Unicredit-Mps riporta di attualità il problema degli esuberi bancari. Nell’ultimo decennio le banche europee hanno licenziato oltre 300 mila addetti. Quelle italiane nessuno, pur avendo drasticamente ridotto gli organici. Questo è stato possibile grazie al Fondo di solidarietà che consente di far uscire chi è prossimo alla pensione collocandolo per un massimo di 7 anni (ora 5) in una specie di limbo in attesa che maturi la pensione. In questo modo si incentiva un’adesione «volontaria» al pre-pensionamento. Il ricorso a tale meccanismo è stato fondamentale per risolvere pesanti ristrutturazioni bancarie resesi necessarie negli ultimi anni. Questa modalità di alleggerimento degli organici evita di conservare situazioni senza prospettive che rimanderebbero decisioni indispensabili per una corretta gestione. Con esclusione delle operazioni di salvataggio e consolidamento sorrette dal Governo con fondi ad hoc, essa avviene senza costi per la finanza pubblica. Consente di ringiovanire la demografia aziendale liberando posizioni che offrono occasioni di crescita professionale e retributiva a molti quadri e dirigenti senza aspettare il lento passare del tempo. Il rapido recupero di alcuni gruppi bancari oggetto di tagli consistenti è avvenuto anche grazie al processo accelerato di ringiovanimento e di rimotivazione delle generazioni più giovani. Si sono così evitate tensioni sociali e le banche hanno potuto concentrarsi sul business.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Ci sono alcuni aspetti problematici. Il primo riguarda i costi diretti. È vero che in condizioni normali non vengono caricati sul contribuente. Ma qualcuno li paga. Dal 2001 al 2018 (fonti sindacali) le banche italiane hanno speso oltre 17 miliardi per il Fondo di solidarietà per oltre 77 mila bancari. Il secondo, e forse il più importante, riguarda i costi-opportunità che sono quantificabili nel valore che si potrebbe salvare impiegando diversamente queste risorse e quel piccolo esercito di persone formate, con esperienza, nel pieno della loro maturità professionale che viene congelato per 5 o 7 anni. C’è da chiedersi per quanto potremo permettercelo, se non sia possibile trovare qualche modalità di reimpiego. Penso che le banche, specie quelle più sensibili alla problematica sociale e più dotate di risorse finanziarie e manageriali, potrebbero impegnarsi a sperimentare forme più morbide di uscita e modalità di reimpiego in settori contigui quali il terzo settore, i servizi alle pmi, la formazione e così via. Non è in discussione la necessità di riportare gli organici alla loro dimensione fisiologica. Soluzioni «pietose» creerebbero nuovi casi Alitalia. Si tratta di costruire alternative praticabili. Per capire come procedere, un buon punto di partenza potrebbe essere una ricerca, che a mia conoscenza non esiste, su come vivono la loro situazione e cosa stanno facendo le decine di migliaia di bancari «congelati» attraverso il Fondo di solidarietà. Una simile ricerca potrebbe essere utile per gestire analoghi processi di ridimensionamento e ricambio occupazionale in altri settori e per mettere finalmente mano al ridisegno di tutto il sistema degli ammortizzatori sociali. La crescente attenzione alle problematiche della transizione ecologica si tradurrà ben presto in esodi biblici. È pensabile affrontarli senza un modello di transizione occupazionale con soluzioni diverse dai prepensionamenti, supposto che siano sufficienti? Come mai i fautori dell’economia circolare, che si prodigano affinché ogni risorsa naturale venga impiegata il più a lungo possibile favorendone il riutilizzo, non dedicano uguale attenzione alle risorse umane? Come mai i fautori della sostenibilità sembrano non accorgersi dell’insostenibilità di questa dissipazione di capitale umano? È paradossale, ma tra i «distratti» troviamo i gruppi bancari all’origine del problema che sono i più impegnati sul fronte dell’economia circolare e della sostenibilità.