L’impianto gremito anche il giorno dopo «La vita va avanti» «Forse sbagliamo»
Un giorno tra i bagnanti di San Pietro in Gu
Non SAN PIETRO IN GU (PADOVA) fosse per lo specchio d’acqua piatto come una tavola da surf e per il nastro bianco e rosso che cinge la vasca sotto sequestro quella di ieri nella piscina comunale di San Pietro in Gu sarebbe stata una delle più comuni giornate Ferragostane. Christian Menin, 6 anni, solo 24 ore prima proprio qui è morto annegato.
Questo è il periodo più redditizio dell’anno per un parco acquatico, struttura già provata da un lungo periodo di chiusura causa pandemia. Ieri è rimasta aperta. Si poteva tenere chiuso per un giorno di lutto o è giusto continuare come se nulla fosse accaduto? Se lo devono essere chiesti i gestori, la società Piscine Conca Verde di Borso del Grappa, e anche le centinaia di famiglie che hanno trascorso la giornata nello splendido parco ai margini del piccolo comune a nord di Padova che offre tutti i confort per chi ha voglia di svagarsi qualche ora sotto il sole.
Fare domande è quasi imbarazzante, nessuno parla volentieri. Perché siete qua oggi? A cercare di rispondere è mamma Caterina che difende la scelta di portare Giorgia (8 anni) e la cuginetta Matilde (6): «Sinceramente pensavo che l’impianto restasse chiuso e che fosse sotto sequestro. Poi stamattina i bambini insistevano, ho telefonato e mi hanno detto che si poteva venire e che le altre due piscine erano aperte. Spiegare ai piccoli quanto accaduto al povero Christian non avrebbe avuto senso. La vita va avanti, usciamo da un periodo difficile e non mi sembrava giusto rinchiuderli in casa. Viene un po’ di ansia, ma meglio non pensarci».
Alla reception una signora bionda, sorridente e gentile accoglie i clienti, ritira le autocertificazioni e si divide l’importante mole di lavoro con i colleghi del bar. Qualcuno in coda per entrare cerca di evadere la morbosa curiosità: «Ma cossa xe successo al bimbo? E’ stato male prima di morire?». Lei sorvola o fa finta di non sentire, continuando a staccare scontrini e a indirizzare adulti, ragazzi e piccoli verso spogliatoi, lettini e ombrelloni. Dentro tutto trascorre normale, con pochi posti liberi e tanti schiamazzi di bambini che si divertono. Impossibile avere una voce ufficiale: «C’è un’indagine in corso, nessuno di noi parlerà». Era il caso, almeno per un giorno, di tenere chiuso in segno di lutto? «Non mi faccia questa domanda».
La piscina sotto sequestro sovrastata dai mastodontici scivoli d’acqua blu che disegnano due spirali di plastica sembra una cattedrale abbandonata. Quasi un monito per tutti: «State attenti, occhi bene aperti» vorrebbero urlare sopra ai soliti cartelli: «Vietato correre a bordo vasca».
Nelle altre due piscine c’è chi usa la a palla, chi fa i tuffi, chi si gode l’idromassaggio e il solarium. Ci sono le mamme che sudano (non solo per il caldo) a controllare le decine di figli che corrono e non si fermano nemmeno un secondo a rifiatare: «Non perdiamoli di vista» si dicono in continuazione, rendendosi conto che in quello sciame di minuscoli corpi felici che si agitano come in un formicaio, distinguibili l’uno dall’altro solo dalla cuffietta colorata, è quasi impossibile essere sempre allerta.
Lo sanno i bagnini che tra loro cercano di scherzare come se nulla fosse, col magone di chi è cosciente di svolgere un lavoro che da un secondo all’altro può cambiare la vita tua e di chi, inconsapevolmente, ti affida la sua. «Difficile dire se si poteva fare di più per il piccolo Christian- si lascia sfuggire un dipendente poco più che ventenne mentre non toglie lo sguardo un secondo dall’acquale procedure di soccorso sono state tempestive, più di
così per noi era difficile fare».
Si trova un po’ di tutto nelle vasche aperte al pubblico e nel vasto giardino: adulti che leggono, ragazze che si abbronzano immortalandosi con il cellulare per postarsi su Instagram o Tiktok, stranieri che chiedono il perché di quegli scivoli avvolti dal nastro e amici che sorseggiano una birra al bar. «Non mi sento in colpa a essere qua - sussurra Giacomo venuto da Cittadella - ho vent’anni, tutti i giorni leggo di incidenti e persone che si ammazzano in auto o in moto ma nessuno chiude le strade il giorno dopo. Dispiace, fa male, ma si va avanti».
Verso le 18 due dipendenti con la maglia bianca abbassano gli sdrai e richiudono gli ombrelloni. L’impianto sta per chiudere. A riportare tutti alla realtà ci pensa una macchina dei carabinieri con un militare che deve parlare ai responsabili. «Forse si poteva restare a casa oggi - dice una donna al marito uscendo avvolta nell’asciugamano e con l’occhio arrossato dal cloro- chissà quel bambino cosa avrebbe preferito». Già, chissà.
I gestori C’è una indagine in corso, non si può parlare. Tenere chiuso? Non ce lo chieda
Caterina I bambini insistevano, la vita va avanti e non mi sembrava giusto chiuderli in casa
Giacomo Non mi sento in colpa ad essere qua, tutti i giorni di incidenti sulla strada il traffico e non viene bloccato