Corriere di Verona

Mi ha scritto Aziza, è disperata Staremo unite per non annegare

- a cura di Pamela Ferlin

Ieri sera prima di addormenta­rmi, o forse tra un sonno e l’altro, nel torpore cui ormai sottopongo la mia coscienza a scopo anestetico, ho sentito il suono leggero del mio telefono che annunciava l’arrivo di un messaggino. Ho sbirciato, senza sperare niente, solo per vedere, forse era Mis Pamela, in Italia sono quattro ore indietro rispetto a qui, magari mi ha scritto mentre già dormivo per darmi la buonanotte.

Invece era Aziza, una mia compagna dell’università di Kabul, non l’avevo più sentita, dal giorno della mia fuga. Lei studia legge, facciamo corsi diversi, e abbiamo due caratteri diversi, ma oggi siamo uguali: due disperate spaventate e sole. Anche lei è hazara, un’aggravante oltre al fatto di essere donna e di studiare legge: una cosa inammissib­ile per i talebani. È rimasta a Kabul ospite nella casa della famiglia di suo padre che è morto qualche anno fa. Mi ha sorpreso sentire che mi cercava, deve essere disperata più di me. A Kabul la situazione è incandesce­nte, peggio di qua in campagna, dice che non può uscire di casa se vuole avere salva la pelle, che non ha libri né computer con sé perché è dovuta scappare, come me, di corsa dallo studentato dove alloggiava­mo. Mi ha chiesto se io avessi qualche notizia dall’Italia, se gli amici di Arghosha Faraway Schools mi avessero dato qualche speranza per una nostra possibile fuga dal paese.

Una rivoluzion­e copernican­a, io che di solito chiedo aiuto, cerco un filo di speranza nelle mie chat, io che prego di essere aiutata, sono diventata il ricevente di una richiesta disperata di aiuto. Io che sento la mia famiglia vicina, con tutti i suoi limiti e l’impotenza di questo momento, ho colto la sua solitudine ancora più esasperata della mia. L’ho sempre vista come una ragazza forte, spigliata, sicura di sé; mi ha scritto che preferisce morire che rimanere a vivere sotto il regime talebano. Non sapevo cosa dirle, come sostenerla, avrei voluto abbracciar­la e farle sentire la forza di una presenza perché in due si è più forti che da soli. Vorrei essere libera di starle vicino e di nutrire insieme a lei la speranza che le cose cambierann­o. Ma in coscienza so che non posso darle le illusioni che ferirebber­o me per prima, posso solo dirle che so che ci sono amici che pensano a noi e che si stanno impegnando per trovare qualche soluzione ma in verità non so nemmeno se mai esisterà una soluzione. Ci siamo ripromesse di rimanere in contatto, di stare unite per non annegare, sarò la sua zattera, ma avere qualcuno da sostenere non è stato un peso aggiuntivo ma un’iniezione di forza, poca cosa, ma faremo un po’ ciascuna.

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