Salchi: da Kabul a Thiene «Io, i miei figli e la fuga ringrazio chi ci ha salvati»
Hanno lasciato il loro Paese, l’Afghanistan, venti giorni fa, in fuga dai talebani. Ma non avevano alcuna valigia al seguito con il necessario per il viaggio che li avrebbe portati in Italia, ieri notte nel Vicentino. «Nothing». Niente. Perché la necessità impellente era quella di mettere in salvo prima di tutto loro le stessi.
Genitori e quattro figli, due ragazzi di 24 e 25 anni e altrettante ragazze di 23 e quasi 18, si sono lasciati l’incubo di Kabul alle spalle rinunciando anche ai più stretti effetti personali. Senza nemmeno uno straccio di vestito di ricambio. Solo quello indossato. Per la mamma e la figlia più grande era l’abito tradizionale più elegante, dal tessuto pregiato. Probabilmente quello a cui erano più affezionate. Uno sfarzo per gli occhi di chi le ha accolte con il resto della famiglia ieri notte alle 2 a Thiene, nel Vicentino.
Genitori e figli - che nella stessa sera avevano fatto tappa a Marghera arrivando dalla Liguria dove erano già stati sottoposti a tampone e prima dose di vaccino - erano stanchi, disorientati, ma felici di essere qui. Di avere un ampio appartamento a disposizione. La loro nuova casa: un immobile di proprietà della parrocchia di San Sebastiano, negli spazi ristrutturati dove un tempo c’era la sala del cinema, lì dove fino a sabato mattina vivevano sei africani richiedenti asilo, trasferiti altrove.
«Ringrazio il Governo italiano e gli italiani per quello che hanno fatto e faranno per noi» le parole del capo famiglia, Salchi, farmacista 52enne, nel corso della visita del sindaco Giovanni Casarotto e dei suoi assessori, che si sono presentati con un vassoio di biscotti e dolci. Habiballah, 25 anni, studente universitario di chimica, portavoce della famiglia con il suo inglese più fluente, alza il dito più volte e abbozza il sorriso sotto la mascherina, in segno di riconoscenza, confidando poi della sua passione per il Milan. «Siamo molto contenti di essere qui, ora stiamo bene, non possiamo che ringraziarvi» ha detto spiegando di come siano riusciti a lasciare l’Afghanistan. «Ci ha aiutati il “boss” di papà, un italiano ora in Inghilterra». Il datore di lavoro o un imprenditore con cui il 52enne aveva rapporti professionali.
Sulle scale che danno all’appartamento si affacciano anche le due ragazze che, vinta la timidezza, accolgono volentieri l’invito di presentarsi. Hanno 23 e 17 anni (ancora per poco) e sono studentesse. Indossano pantaloni e t-shirt di brand italiani, gli abiti che ha fornito loro la Nova Cooperativa di Schio che attraverso Monica Tresso, coordinatrice del programma di accoglienza, ora si occuperà di loro, approntando pure corsi di italiano e, dopo i sessanta giorni previsti dal primo permesso di soggiorno provvisorio, pure un inserimento in laboratori occupazionali. Detto che ci sono già imprenditori di Thiene che sono pronti ad offrire un lavoro a chi della famiglia fosse interessato.
L’unico dei figli che lavora è Sahrab, 24 anni, sarto che vanta esperienze anche in Iran e Turchia. Ognuno dei ragazzi, a modo suo, con il suo carattere, dimostra grinta e intraprendenza. Non è dato sapere se hanno già le idee chiare su cosa faranno in Italia, di certo non hanno voglia di voltarsi indietro. Almeno non con noi. Alla domanda di cosa e chi abbiano lasciato in patria spiegano «che ci sono i nostri zii e cugini a Kabul, speriamo che anche loro riescano a mettersi in salvo». La sensazione è che vogliano cambiare argomento. In fretta. Perché se è vero che non hanno portato da casa nessun bagaglio si sono comunque accollati il peso della valigia più pesante: quella dei ricordi, delle raffiche di spari che rimbombano nelle orecchie, delle immagini strazianti che loro hanno vissuto in prima persona e non solo da spettatori come noi. Un carico troppo doloroso che probabilmente non se la sentono di condividere. Almeno non ora.
Il ragazzo Siamo molto contenti di essere qui, ora stiamo bene e lo dobbiamo al vostro governo e a tutti gli italiani