PERCHÉ IL NORDEST CORRE
L’economia italiana corre più della tedesca e della francese, ma a Palazzo Chigi il premier mantiene un basso profilo. Record è parola fragile, va usata con cura. Intanto, a Padova e Treviso l’industria ha ritrovato il successo, con la produzione e l’export che tornano a correre (+39,1%). Sono rosee le aspettative di aumento dell’occupazione, pur restando le striature di grigio dovute alla mancanza di personale sia specializzato che generico.
Il successo è il frutto di un solido saper fare, fiore all’occhiello delle nostre imprese familiari, abili nel produrre, vendere e conquistare i mercati esteri. Il «Saper Fare» è il veicolo su cui viaggia la crescita economica in tutto il Nordest. Le aziende innovano rispondendo ai desideri del cliente. La conoscenza del mercato accelera l’innovazione incrementale che rende più appetibili i prodotti ai consumatori desiderosi di versioni migliorate rispetto a quelle già disponibili. L’innovazione è, dunque, accettata nella misura in cui contribuisce allo sfruttamento di ciò che è già prodotto e commercializzato con risultati positivi. A questo punto sorge un interrogativo: il successo ritrovato è dovuto all’abilità imprenditoriale a trasformarsi sulla scia di due crisi sistemiche, quella provocata dalla finanziarizzazione dell’economia (2008 e anni successivi) e la più recente innescata da depredazioni e scorrerie a danno dell’ambiente naturale? In alternativa, i due eventi hanno prodotto terremoti e le nostre imprese ne hanno assorbito l’urto, senza rompersi, dimostrando di essere belle alla pari dei vasi di porcellana cinesi, ma non fragili?
Se questa seconda ipotesi fosse vera, dovremmo dire che l’imprenditoria veneta reagisce ai grandi eventi impegnandosi nel miglioramento continuo. Vince la sua cultura in cui si trovano insieme la conoscenza accumulata, le credenze radicate, l’ininterrotto apprendimento, la causalità rigorosa e la valutazione del rischio. In tempi normali, l’innovazione incrementale è all’ordine del giorno. Quando, come accade ai nostri giorni, ci troviamo di fronte a trasformazioni epocali, dall’ecologia al digitale, l’attenzione si sposta verso le idee che trasformano lo status quo. Il successo si ottiene in modo non convenzionale, ricostruendo il tessuto imprenditoriale per renderlo diverso da oggi. Quanto è forte l’imprenditoria veneta trasformazionale che arruola co-creatori anziché semplici esecutori di compiti assegnati dall’alto? Né geni né ribelli solitari, i co-creatori sono intraprenditori che contribuiscono molto a rompere regole radicate. Abbandonando le opportunità conformi alle abitudini prevalenti, costoro navigano nell’incertezza, cercando idee di business che sembrano ridicole e pericolose a prima vista. L’impresa trasformativa varca la frontiera conosciuta e per farlo muta nella forma e nella sostanza. C’è iato, non continuità con il passato. «Niente sarà come prima» è il suo motto. Pertanto, essa è alla ricerca dell’eccellenza. Negli anni della pandemia, imprese trasformative si scorgono nella tecnologia agricola («Agritech»). La crescita verde è la missione da perseguire assicurando che il patrimonio naturale continui a fornire le risorse e i servizi ambientali su cui si basa il nostro benessere. Si innescano investimenti e si sviluppano capacità imprenditoriali sia nella conservazione e nel ripristino della biocapacità che nella riduzione dell’impronta ambientale. Dal canto suo, la manifattura è impegnata a sperimentare come operare nell’economia della cura, dalla sanità all’assistenza all’infanzia, per contribuire ad aumentare il livello qualitativo della vita delle persone. La manifattura partecipe della «caring economy» è una fonte primaria di innovazione attraverso la ricerca sull’intelligenza artificiale, la scienza dei dati e la scienza comportamentale. Valorizzando i beni immateriali, l’attività di ricerca porta qualità alla produzione materiale. Ritrovato il successo, in Veneto l’impresa trasformativa sarà visibile sopra l’orizzonte nel cielo dell’economia della conoscenza?