I ragazzi dei barchini, il Neorealismo di Ancarani
Barchini con le luci al led che solcano con i motori truccati la laguna di Venezia. Ragazzi che consumano la loro vita tra velocità e droghe, primi amori e feste nelle isole della laguna al suono di una musica trap sparata da altoparlanti più grandi di loro. Yuri Ancarani, regista e videoartista ravennate, ha vissuto a Venezia tra i «ragazzi dei barchini» per mesi per farsi accettare, prendendo una casa a Sant’Erasmo. Il suo lavoro di «mimetismo» è diventato Atlantide, un film girato con una telecamera di ultima generazione ma sfruttando la luce della luna piena per le riprese notturne, restituendo così allo spettatore un bagliore che stordisce e provoca stupore e meraviglia.
Ieri Atlantide ha fatto il suo debutto alla Mostra del Cinema nella sezione Orizzonti dove è in concorso e sarà distribuito dalla bolognese I Wonder. Per il regista, che in passato aveva filmato nella loro quotidianità gli emiri del Qatar, «è stato decisamente complesso filmare Venezia – dice il regista – perché come si vive la laguna è un mistero, un segreto e tale deve rimanere. Dopo tutti i mesi che ho trascorso a Venezia, continuavo a essere un foresto». Nel film i ragazzi sono quasi tutti non professionisti, presi dalla laguna, incontrati durante quel lungo lavoro di scavo che ha preceduto il film, in un metodo che ricorda Fellini. «Io direi il Neorealismo – spiega Ancarani – perché è la cinematografia più semplice, un modo di fare cinema povero e vero, che va a guardare le cose come sono». Il cuore del film è il senso del limite, che nell’adolescenza va sempre superato: «Hanno la malattia del desiderio di velocità – dice il regista – come succedeva a me con i motorini in Riviera Romagnola quando ero ragazzo. Sono tutti riti di passaggio: un maschio adolescente per diventare adulto deve seguire uno standard molto preciso, non si sfugge». Dal viaggio sui barchini si arriva, negli ultimi dieci minuti del film che non sveleremo, a un altro viaggio: «Il film è un avvicinamento a quell’esperienza finale – conclude Ancarani -. L’inizio è molto rassicurante, con i ragazzini che fanno il bagno, il nonno che raccoglie i carciofi. Poi l’atmosfera degenera e il finale si fa sempre più magmatico e forte». Ma guai a domandare perché o cosa significa: «Tutti vogliono avere solo risposte – dice il regista – nessuno vuole fare esperienze. Tutti sono in ginocchio di fronte all’intrattenimento: dobbiamo essere intrattenuti e consumare. E penso che uno che è abituato così debba essere trascinato fuori da questo torpore. I dieci minuti finali servono a questo. Guardare quella scena al cinema sarà come essersi fatto un viaggio con le stesse sostanze che mandano fuori di testa i ragazzi». In un capovolgimento continuo del mondo di sotto col mondo di sopra.