Il film di Contarello: «La mia vita, Parise e Mazzacurati»
Lo sceneggiatore padovano presenta «Operetta al piano», fra docu e autobiografia «Mazzacurati mi ha insegnato il lavoro artigianale, Sorrentino il gesto infantile»
«Nella vita, ora che ci penso, oltre alla famiglia e al mio lavoro, più di tutto è importante l’abbronzatura». Dopo più di trent’anni a cercare le parole per gli altri, Umberto Contarello le parole le ha trovate per sé. Parole. Operetta per piano e voce è un film un po’ «marziano al Lido» (tanto per non citare Flaiano) che è atterrato ieri alla Mostra del Cinema in quel cuore pulsante di spunti che è la sezione Notti Veneziane delle Giornate degli Autori. In questo film girato tra isole e mare aperto con qualche raro approdo in terraferma, Contarello, sceneggiatore padovano che ha lavorato con tutti i più grandi registi da Mazzacurati a Sorrentino, racconta sé stesso e le sue manie, trovando anche la via per regalare ai giovani aspiranti sceneggiatori qualche prezioso consiglio per il mestiere che verrà. In un’ora e quaranta la sua voce dialoga con la musica composta dall’amico Danilo Rea, col quale ultimamente si diletta a comporre canzonette.
Contarello, nel film arriviamo subito a Parise. Quanto è importante per lei?
«I Sillabari e Il ragazzo morto e le comete sono sempre stati compagni di vita. È un po’ che rileggo e che mi sono innamorato delle sue parole. Parise per me rappresenta un’esaltante summa di piaceri: il piacere della parola e quello della nota stonata. In Parise c’è una musica, soprattutto nei Sillabari, sempre di più mi sembra assomiglino a delle strofe di canzoni e vorrei lavorare sull’effetto che mi provoca».
Quando morì Mazzacurati scrisse che il dolore era indicibile. In questo film riesce a dire qualcosa su di lui.
«Se non puoi parlare della dimensione amorosa che ti ha legato per molto tempo e ha determinato in maniera totale la direzione che ha preso la tua vita, sei costretto a parlare delle fessure, dei fatti. E una delle cose che mi ha insegnato Carlo è questa dimensione
da artigianato veneto che aveva del lavoro che facciamo. Se fai una cosa si cerca di farla per bene, ma se si fa per male, bisogna capire dov’è l’errore e la suggestione esistenziale è trovare dove inizia l’errore ed estirparlo, come fanno i rabdomanti con l’acqua».
Nel film si parla molto di Venezia.
«Uso la nascita di Venezia come metafora del mio lavoro: penso che la cosa a cui si avvicina di più sia costruire ponti tra cose che mi piacciono e che vorrei fossero collegate tra loro, così come possiamo dire che la città di Venezia nasca nel momento in cui si costruiscono ponti tra le diverse isole. Più queste isole sono difformi tra loro e molto distanziate, più il ponte dev’essere lungo e io mi diverto».
Ciò che la lega a Sorrentino è fare film che non cercano spiegazioni.
«Penso che Paolo (Sorrentino) e Carlo (Mazzacurati) rappresentino nella mia vita due compagni di fantasia con posizioni ben chiare. Paolo mi ha dato la fantasia del gesto infantile».
Lavorerete ancora insieme?
«Abbiamo un progetto insieme che potrebbe realizzarsi anche tra non molto e ne avevamo un altro che era troppo complesso e che si è fermato per la pandemia».
E il «Giovane Casanova» di Salvatores a che punto è?
«È un film su un regista che ha fatto un film su Casanova e lo deve montare. La prossima settimana arriverà al Lido una troupe per girare un paio di scene in cui il film contemporaneo si affianca all’antico».