In tribunale vietati «sguardi insistenti» e «doppi sensi»
Vicenza vara il codice anti molestie: vigileranno sette consiglieri
Il tribunale di Vicenza si è dotato di un codice anti-molestie che vieta, tra le altre cose, «gli sguardi insistenti», i «discorsi a doppio senso», gli «apprezzamenti verbali sul corpo», le «allusioni alla vita privata sessuale» e gli «apprezzamenti rozzi». Per il presidente Alberto Rizzo è un modo per garantire un ambiente di lavoro sicuro e protetto.
«Chi lavora qui dentro ha il diritto di svolgere le sue funzioni in un ambiente che garantisca il rispetto della dignità di ciascuno, evitando ogni tipo di comportamento inopportuno o indesiderato». Il presidente del tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo, la mette in questi termini: dentro e fuori dalle «sue» aule di giustizia, non c’è spazio per atteggiamenti che, in qualche modo, possano mettere a disagio chi li subisce. Per questo ha appena approvato un decalogo delle condotte vietate all’interno del Palazzo, nell’ottica di prevenire le molestie sessuali.
Il regolamento – studiato da un apposito «Comitato per il benessere organizzativo» composto in larga parte da dirigenti donna – è innovativo perché non si limita a censurare, tra i dipendenti, quei comportamenti (come ad esempio: «pizzicotti e carezze», «richieste di prestazioni sessuali», «proposte di relazioni in cambio di vantaggi») che sono – o almeno dovrebbero essere - già universalmente riconosciuti come inaccettabili su qualunque luogo di lavoro. Ma si spinge oltre.
D’ora in avanti, in tribunale sono vietati anche «gli sguardi insistenti», i «discorsi a doppio senso», gli «apprezzamenti verbali sul corpo», le «allusioni alla vita privata sessuale» e gli «apprezzamenti rozzi».
Stop quindi al body-shaming, cioè le critiche che riguardano l’aspetto fisico di una collega; ma anche a quello che viene definito catcalling, cioè complimenti (spesso volgari) non richiesti; e banditi gli sguardi languidi e assillanti rivolti alla collega d’ufficio.
Quello di Vicenza è tra i primi tribunali a dotarsi di un regolamento così stringente. «Nonostante le raccomandazioni dell’Europa – spiega Rizzo - in Italia non esiste una legge specifica che indichi quali siano le condotte da vietare all’interno degli ambienti di lavoro.
Da qui l’esigenza di dotarci di un codice che garantisca a tutti, donne ma anche uomini, un palazzo di Giustizia protetto non soltanto dalla molestia o, ancor peggio, dai ricatti di natura sessuale, ma anche da tutti quegli atteggiamenti che possono risultare umilianti o fastidiosi per chi li subisce, e che a volte si rivelano propedeutici ad azioni ben più gravi. Il fine è prevenire ogni possibile rischio».
Sia chiaro: non viene bandita la galanteria. «Ma questo è un luogo di lavoro non di corteggiamento né, tanto meno, di condotte discriminatorie o lesive», taglia corto il presidente del tribunale berico.
Al nuovo codice di condotta dovranno sottostare non soltanto gli oltre 200 dipendenti - tra amministrativi, giudici e magistrati - del palazzo di Giustizia, ma anche «tutti i soggetti che hanno rapporti contrattuali, di appalto e di collaborazione con l’ente e il suo personale».
In questi giorni sono stati individuati sette referenti chiamati «Consiglieri» con il compito di vigilare sul rispetto del regolamento. «Frequenteranno dei corsi con degli esperti del settore - conclude il magistrato - e non si limiteranno a raccogliere le denunce da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, ma soprattutto ci aspettiamo che promuovano la diffusione di una vera e propria cultura della sicurezza nei rapporti interpersonali, sviluppando una consapevolezza dei rischi e stimolando comportamenti responsabili tra i colleghi».