«È solo un delinquente, Non chiamatelo tifoso Denunciare? Per me è stato un dovere »
«Credo che chiunque sia consapevole che per me non è stato facile accusare una persona. Ma l’ho fatto a mente lucida. E per due motivi: il primo è che non si possono picchiare così brutalmente le persone. Il secondo è che io sono un comunicatore, un giornalista. E non avrei mai potuto essere omertoso su quanto accaduto. Siamo noi a dire sempre agli altri che devono denunciare. E ho trovato giusto, io per primo, farlo». Fabrizio Nonis stempera l’angoscia. Quella che ha aggrumato in una settimana. Da quella sera di venerdì 27 agosto in cui lui e suo figlio Simone sono stati presi a calci e pugni in via Sansovino, subito dopo Hellas-Inter, con l’unica «colpa» di aver detto di tifare Udinese. Ed è anche grazie alle loro «dettagliate descrizioni» che la squadra tifoserie della Digos veronese è arrivata all’identificazione dell’aggressore. Quello che Nonis non definisce mai nè «tifoso» nè «ultrà». «Si va allo stadio per assistere a uno spettacolo. Non per picchiare gente inerme. Questo è solo un delinquente». Ringrazia, il «Bekèr» televisivo. Ringrazia «la Digos di Verona per il lavoro spettacolare che hanno fatto, il sindaco Federico Sboarima. E tutta la città, che mi ha dimostrato la propria solidarietà. Anche gli ultrà dell’Hellas che mi hanno fatto avere la loro vicinanza facendomi sapere che loro, con quella persona, non hanno niente a che fare». Fa i suoi distinguo, Fabrizio Nonis. «Molti li criticano. Ma gli ultrà non sono delinquenti, seguono una loro logica e una loro “deontologia”. Questa persona non è nulla di tutto questo. È un delinquente che si mistifica come ultrà». Il dolore all’orecchio destro, con il timpano perforato, da un pugno è ancora costante. «E per fortuna racconta - che mi ha preso di lato. Se mi avesse colpito in piena faccia non so cosa sarebbe successo. E io lavoro anche con la mia faccia. Devo iniziare una nuova trasmissione televisiva. Se mi avesse ferito al volto avrei avuto problemi non secondari anche dal punto di vista lavorativo...». Non permette a quanto accaduto, il «Bekèr», di interferire con la sua vita. «Verona è una città bellissima. Quando mi hanno chiesto dove vorrei vivere ho sempre riposto Verona o Trieste. Con me ha dimostrato anche di essere una città solidale. E resto convinto che lo sport, il calcio in particolare, sarà sempre un esempio di socializzazione. Il mio non è stato un caso legato a tifoserie contrapposte. Ma un’aggressione immotivata e gratuita da parte di un delinquente che con la sua città e con la squadra a cui dice di tifare non ha nulla a che fare».