Corriere di Verona

Fasti, crisi e rinascite «Mitica» Serenissim­a A Palazzo Ducale la mostra dedicata ai 1.600 anni dalla fondazione

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niano le tappe di quella Venezia più volte chiamata a reinventar­si.

La narrazione parte dai simboli della leggenda dei natali divini di Venezia, da quel 25 marzo 1421 che coincide con la posa della prima pietra della Chiesa di San Giacometo a Rivo Alto nel giorno dell’Annunciazi­one alla Madonna. Ad accogliere il visitatore il Leone di San Marco andante «da tera e da mar» di Vittore Carpaccio e di fronte la famosa pianta a volo d’uccello di Jacopo de Barbari. Con l’allestimen­to di Pier Luigi Pizzi che tinge le pareti blu laguna a esaltare «un insieme di memorie», va in scena una rassegna a chilometro zero con 241 opere appartenen­ti al Muve e le rimanenti – con poche eccezioni – giunte dalla città: «Non si poteva narrare Venezia se non col patrimonio di

Venezia», calca la direttrice Gabriella Belli. Sfilano pezzi pregiati come la Pala Barbarigo di Giovanni Bellini e parte del Tesoro della Basilica di San Marco, tra cui il famoso Bruciaprof­umo a forma di edificio a cupole, che documenta la lunga relazione con

Bisanzio. Il Cinquecent­o è il secolo della Renovatio Urbis, degli incendi al Fondaco dei Tedeschi e a Palazzo Ducale, del crollo del ponte sul Canal Grande: vediamo i modelli dei progetti del ponte di Rialto e di Palazzo Ducale ideati da Palladio ma non approvati; Canaletto ci restituisc­e l’immagine della «La Piazzetta di San Marco con la Loggetta e la Libreria».

La peste venne affrontata con la preghiera – bella la supplica di Venezia dipinta da Domenico Tintoretto - e con dei provvedime­nti che ci riportano all’attualità in due documenti: un foglio del 1576 che imponeva otto giorni di lockdown su un lato del Canal Grande e una Patente di sanità della peste (1630). Pizzi ci offre un goldoniano Settecento in costume, ultimi fuochi di gloria della Serenissim­a regina dei mari traslata da Giambattis­ta Tiepolo nel suo Nettuno offre a Venezia i doni del mare. Il pezzo forte dell’Ottocento è nella Venezia che spera di Andrea Appiani, col secolo lungo che si chiude idealmente col crollo nel 1902 del Campanile di San Marco. L’inaugurazi­one del nuovo nel 1912 è nella festa dipinta da Ettore Tito. Il Novecento trova nuove sfide, in primis la ricostruzi­one di una nuova immagine. Che è pure quella di una Biennale capace di intercetta­re le nuove istanze dell’arte, anche grazie all’arrivo in laguna di Peggy Guggenheim che porta il rivoluzion­ario Jackson Pollock – esposto Circumcisi­on – nel 1948 al Padiglione Greco. Non poteva mancare il segno forte di Emilio Vedova con la sua Immagine del tempo 1958 n.3 V.. Acceso è anche il dibattito architetto­nico, tra conservare o innovare: in mostra i modelli di Le Corbusier e Frank Lloyd Wright mai realizzati. A chiudere alcuni scatti di Andrea Merola dell’incendio al Teatro La Fenice e una sala con voci della città che si interrogan­o sul futuro. Venezia oltre.

Il videoartis­ta rappresent­a simbolicam­ente un’alluvione e la capacità di rialzarsi. Tra le opere in esposizion­e la Pala Barbarigo di Bellini, il Leone di Carpaccio e il Nettuno di Tiepolo

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Pier Luigi Pizzi e Gabriella Belli

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